Il sociologo dell’Università di Bologna Ivo Colozzi ha ragionato, sulle pagine dell’Avvenire, su paradosso della modernità, che sceglie droghe ed eutanasia per scappare dal dolore insito nella vita ed, in passato, un vero e proprio momento di crescita personale. Si è diffusa, infatti, “l’algofobia”, ovvero “una paura generalizzata del dolore che ha come conseguenza il desiderio di vivere in un’anestesia permanente, come è dimostrato dal continuo aumento dell’uso di sostanze stupefacenti“.
Un’algofobia che, secondo Colozzi, origina in “un cambio di paradigma culturale” che ora “si fonda sull’idea della positività che tenta di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo. Il dolore è la negatività per antonomasia, quindi è naturale che non trovi posto” nella società algofobica. In questo contesto, la felicità diventa la “promessa di un’oasi permanente di benessere”, che si può ottenere anche, e soprattutto, “per via medica”. Il dolore, inoltre, secondo Colozzi, nella “società della prestazione viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione”, incompatibile “con la performance“.
Colozzi: “Senza il dolore, anche la felicità perde di senso”
Così, senza dolore, continua a ragionare Colozzi, cambia anche la concezione della corporeità. “Il corpo”, spiega, “non è più uno strumento per uno scopo superiore ma diventa un fine in sé. Si perde, cioè, quell’orizzonte di significato che consentirebbe di cogliere il senso del dolore”. E cambia la concezione della felicità, “che diventa la somma dei sentimenti positivi capaci di garantire una prestazione migliore”
Tuttavia, ragiona Colozzi, “la vera felicità è possibile solo se infranta. È proprio il dolore a salvaguardare la felicità dalla reificazione” e “se il dolore viene soffocato, ecco che la felicità si appiattisce riducendosi a un apatico torpore“. Proprio per questa ragione, riflette il sociologo, oggi “si soffre sempre di più a causa di cose sempre più piccole”. Appare, dunque, evidente che se il dolore perde di senso e soprattutto di dimensione, sottolinea Colozzi, non ci si può aspettare che una legge sull’eutanasia non causi anche un aumento delle richieste, da parte di chi “non rientrerebbe oggettivamente nei casi previste, ma sente soggettivamente insopportabile la propria condizione di dolore”.