FASE 2 UK/ Johnson e caso Cummings, guai a prendere in giro gli inglesi…

- Cristina Balotelli

Il caso Cummings scuote la Gran Bretagna. Il braccio destro di Johnson ha violato le regole del lockdown, ma non vuole dimettersi e Johnson lo protegge

granbretagna cummings 1 lapresse1280 640x300 Dominic Cummings in conferenza stampa nel giardino del n. 10 di Downing Street (LaPresse)

LONDRA – Nel tentativo di difendere a tutti i costi il suo braccio destro, Dominic Cummings, finito nella bufera per avere infranto le regole del lockdown, Boris Johnson è riuscito a far infuriare gli inglesi in un momento estremamente delicato della lotta alla pandemia, quando si vorrebbe far ripartire l’economia e allentare le misure dopo oltre due mesi di fermo.

Durante il periodo di quarantena, quando si poteva uscire di casa solo se davvero necessario, il chief advisor di Johnson ha intrapreso con moglie e figlio di quattro anni un viaggio di circa 418 chilometri di distanza dalla sua casa londinese a quella dei genitori a Durham, nel nord-est del paese. La moglie accusava sintomi di Covid-19. In presenza di sintomi, dicono le direttive del governo, una persona deve isolarsi per una settimana e i membri della sua famiglia devono farlo per due settimane. A Durham la famiglia si è messa in isolamento in una specie di dépendance della tenuta dei genitori. Ma prima di tornare a Londra c’è stato un altro piccolo viaggio della famigliola a Barnard Castle, una località d’interesse turistico.

Cummings è il terzo top consulente ad aver infranto le regole del lockdown che lui stesso ha contribuito a scrivere. Prima di lui Catherine Calderwood e Neil Ferguson, rispettivamente la chief medical officer del governo scozzese e lo scienziato consulente di quello inglese, per simili motivi si sono dovuti dimettere. La prima, per essersi recata alla sua seconda casa durante il lockdown e il secondo per aver ricevuto in casa diverse volte la propria amante, che abitava altrove con marito e figli. I casi avevano fatto notizia rivelando la pericolosa ipocrisia di chi impartisce lezioni al pubblico sul mantenimento della distanza sociale e sulla necessità della quarantena, ma poi per primo infrange le regole.

Il messaggio che passa è che le regole non valgono per tutti e possono essere aggirate. E qui sta il vero problema: questo relativismo nelle regole mette seriamente a rischio il programma del governo, soprattutto ora con l’allentamento del lockdown e il lancio della fase di trace and test. Dal 1° giugno potranno aprire gli showroom automobilistici e i mercati all’aperto, mentre dal 15 si prevede la riapertura di tutti i negozi considerati non essenziali. A breve sarà adottata un’app per il tracciamento di tutti i contatti di una persona infetta. Sarà richiesto alle persone a rischio di mettersi in quarantena. Ma il governo potrebbe avere difficoltà a far rispettare le regole al pubblico, dal momento che il caso Cummings introduce un elemento di discrezionalità.

Per questo in molti chiedono le dimissioni dell’ex regista della campagna Leave durante il referendum sulla Brexit, diventato potentissimo consigliere del premier. Ma lui non si dimette. Non solo, afferma di non prendere nemmeno in considerazione l’idea di presentare le dimissioni. In una bizzarra e lunghissima conferenza stampa tenutasi nel giardino della residenza del premier, al numero 10 di Downing Street, Cummings dice di avere agito “ragionevolmente e legalmente”. Accetta di rispondere al fuoco di fila dei giornalisti dopo che il tentativo del premier di concludere la vicenda in una conferenza stampa il giorno prima si è rivelato inutile. Anzi, dannoso. Per molti Johnson, che ha subito preso le difese del suo advisor dicendo che ha agito “seguendo l’istinto di qualunque padre”, ha inferto un serio colpo alla sua leadership.

Nella sua prima conferenza stampa Cummings, noto per snobbare i media, spiega le ragioni per cui, mentre il governo chiedeva ai cittadini britannici di non lasciare le loro case “per salvare vite” (stay at home, save lives) lui, l’autore dello slogan, si sentiva giustificato a mettersi in viaggio con moglie e figlio. Ma non convince.

Dice di essere partito dopo l’annuncio del premier di essere positivo al virus perché se sia lui che la moglie fossero stati malati non avrebbero potuto occuparsi del bambino e a Durham lo avrebbe fatto la sorella. Parla di “circostanze eccezionali”. Ma gli contestano di non aver nemmeno cercato un’alternativa di babysitteraggio a Londra. Del resto, come lui si sono trovati migliaia di altri genitori con figli (oggi arrabbiati) che non hanno potuto usufruire del supporto dei famigliari proprio per il lockdown. Tanti anziani si sono isolati e da mesi non vedono i loro figli. Ci sono poi tante famiglie che non hanno nemmeno potuto partecipare ai funerali dei propri congiunti deceduti per il coronavirus, sempre per ubbidire alle regole di distanziamento sociale.

Cummings non è pentito né chiede scusa, eppure vorrebbe che il pubblico capisse. Se la gente prova rabbia è colpa dei media, che raccontano cose false, dice (ma gran parte dei fatti di pubblico dominio sono risultati veri).

Le spiegazioni, comunque, arrivano in ritardo, quando la frittata è  fatta. Nel fine settimana, infatti, la storia lanciata dal Guardian e dal Daily Mirror, testate vicine all’opposizione, è stata bollita e ribollita. Il danno reputazionale è serio.

Il premier dovrà fare i conti con ulteriori pressioni perché allontani il suo consigliere. La Chiesa d’Inghilterra lo ha duramente criticato. Una dozzina di vescovi ha messo in dubbio la sua integrità dopo il suo rifiuto ad ammettere che Cummings ha infranto le regole. La gente ha fatto sacrifici, non ha potuto vedere i propri familiari, non ha potuto rendere l’ultimo saluto ai malati, gli hanno ricordato. Ma evidentemente quello che vale per la gente non vale per l’élite.

Gli scienziati sono preoccupati perché d’ora in poi sarà difficile chiedere obbedienza al pubblico. Oltre alle opposizioni, tutte molto critiche con Johnson, anche tra le file dei conservatori una ventina di deputati chiedono le dimissioni di Cummings. Ma Johnson non intende licenziarlo. Preferisce tenerselo e ignorare le richieste di molti comuni cittadini, dei vescovi, di scienziati, medici, e di una parte del suo stesso partito (anche se in minoranza).

Forse la riapertura dei negozi sarà sufficiente a far dimenticare questa storia. Ma in questo momento gran parte del pubblico britannico, dopo 63 giorni di lockdown, di lutti, di perdite di posti di lavoro, di sacrifici e di prospettive molto incerte, si sente comprensibilmente preso in giro.







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