Una startup USA raccoglie 30 milioni per modificare gli embrioni, ufficialmente per porre fine alle malattie ereditarie. Ma si corre un grosso pericolo
L’espressione “figli geneticamente on demand” viene usata nel dibattito pubblico per descrivere l’idea, per ora in gran parte teorica, di selezionare o modificare geneticamente alcune caratteristiche dei futuri figli, come se si potesse “pre-ordinare” determinate qualità. Non è un termine scientifico, ma una formula giornalistica che riassume varie tecnologie emergenti e le loro implicazioni etiche.
Negli ultimi giorni il tema dell’“editing genetico”, dei “bambini su misura” e dei “figli geneticamente modificati” è tornato sotto i riflettori per una serie di ragioni concrete, collegate tra di loro, ma soprattutto con una forte connotazione economica.
Una startup della Silicon Valley, sostenuta da Sam Altman di OpenAI e Brian Armstrong di Coinbase, sta portando avanti una ricerca che potrebbe arrivare fino alla nascita di un bambino geneticamente modificato. Operazione illegale secondo la legge statunitense e vietata nella maggior parte dei Paesi. L’azienda, Preventive, afferma che il suo obiettivo è quello di porre fine alle malattie ereditarie modificando gli embrioni umani prima della nascita; un’affermazione che ha acceso un vivace dibattito su sicurezza, etica e profilo dei bambini progettati, secondo il Wall Street Journal.
Preventive, fondata all’inizio di quest’anno dallo scienziato dell’editing genetico Lucas Harrington, ha raccolto 30 milioni di dollari e ha stabilito la sede centrale a San Francisco, dove sta conducendo ricerche sulla modifica degli embrioni per prevenire le malattie ereditarie. Anche il CEO di Coinbase, Brian Armstrong, investitore in una startup impegnata nella ricerca sulla creazione di bambini geneticamente modificati, è fortemente interessato a questo potenziale sviluppo della scienza.
La possibilità concreta che soggetti privati con risorse e potere, non solo istituti di ricerca accademici, possano finanziare simili progetti rende la questione urgente: non è più una mera ipotesi futuristica, ma un potenziale sviluppo a breve termine. Questa spinta imprenditoriale suscita reazioni forti nella società: da un lato c’è speranza per la cura di malattie genetiche, dall’altro la paura di forti derive etiche, che potrebbero creare pesanti disuguaglianze.
Nuove tecnologie, come l’editing di precisione, stanno rendendo possibili correzioni genetiche sempre più precise e meno invasive. Recenti progressi in terapie genetiche per malattie gravi stanno dimostrando che l’editing del DNA non è più solo teoria. Questo progresso rafforza l’idea che, se da un lato si può intervenire per curare, dall’altro la soglia verso la manipolazione germinale, che dà luogo a modifiche ereditabili, è percepita come qualcosa di molto vicino nel tempo e soprattutto appare realistica.
In sostanza, la scienza avanza, e l’opinione pubblica è spinta a ripensare a ciò che prima sembrava fantascienza. Per questo, proprio a causa di iniziative come quella di Preventive, molte istituzioni scientifiche hanno chiesto una moratoria internazionale sull’uso clinico dell’editing germinale, segnalando la necessità di regole condivise. La discussione pubblica sta considerando tutte le implicazioni sociali, dal momento che l’accesso a queste tecniche sarebbe riservato a chi può permetterselo e d’altra parte i figli finirebbero con l’essere considerati come un “prodotto”.

Questo clima di allarme, speranza e necessità di regolamentazione contribuisce a porre la questione sotto i riflettori. Mentre per anni il discorso sui “bambini su misura” era confinato a scenari di fantascienza o a dibattiti teorici, ora i media riportano casi concreti, startup, ricerche, potenziali trattamenti, e la gente inizia a chiedersi “E se accadesse davvero?”.
Molte persone che prima non erano coinvolte nel dibattito si trovano di fronte a domande reali. Il risultato è una maggiore attenzione pubblica, che esercita una forte pressione perché la legge decida se è possibile accettare, regolamentare, vietare, o rifiutare queste tecnologie. Non si tratta più solo di “ricerca scientifica” o “scenari futuri”: la genetica — attraverso editing, fecondazione assistita, screening embrionali — sta diventando un campo dove medicina, imprenditoria, scienza e mercato si intrecciano. La fusione tra interessi medici, economici e tecnologici rende la questione non solo scientifica, ma sociale e politica.
In sintesi: il tema “figli geneticamente modificati” torna ora al centro dell’attenzione perché c’è un forte interesse economico con investimenti privati, che rendono realistica la possibilità delle modifiche embrionali. I progressi tecnici rendono l’editing del DNA sempre più precisi. Ma non tutto può essere ridotto a tecnologia, per cui se si può farlo, allora è moralmente lecito farlo. In realtà da un punto di vista etico qualsiasi intervento diretto sul genoma umano ereditabile è moralmente inaccettabile, perché l’essere umano ha una dignità intrinseca che non va manipolata.
La procreazione non deve diventare un processo di produzione che attraverso la selezione porta a una deriva eugenetica, con il rischio di creare discriminazioni tra “naturali” e “modificati”. È moralmente positivo usare la tecnologia solo per migliorare l’essere umano senza superare i limiti biologici. Se possiamo evitare malattie genetiche, è quasi un obbligo morale farlo. Non si tratta di rifiutare la tecnologia in sé, ma di utilizzarla con la massima cautela. Le conseguenze possono imprevedibili, per cui è necessario attenersi sempre al “principio di precauzione”.
La persona non è definita solo dal suo genoma, ma dalle sue relazioni, dal contesto in cui vive, dalla sua famiglia, dalle sue idee e dai suoi valori. Ridurre il figlio alle sue caratteristiche genetiche è una forma di oggettificazione, dal momento che il valore di una persona esiste e esisterà sempre per il solo fatto che la persona esiste. È la persona che dà valore alla sua vita e non le diverse circostanze o alcuni aspetti parziale del suo essere.
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