A volte le serie tv possono accompagnarvi in una realtà sconosciuta o che avete sempre considerato secondaria. Per questo motivo vi suggerisco di dedicare un po’ di tempo a una trilogia – composta da una serie tv e due film che trovate su Netflix – interamente dedicata a storie di ragazzi del nord Europa che hanno subito il fascino dell’islam fondamentalista.
Proprio nel momento in cui sembra aumentare la distanza – anche culturale – tra il sud e il nord del nostro continente, può essere di aiuto dedicare qualche ora alla conoscenza della realtà delle periferie delle più ricche città europee, delle loro reali condizioni di vita, del razzismo che colpisce i giovani delle famiglie di immigrati. E, in particolare, al dramma del mancato inserimento delle generazioni nate in Europa, tutt’ora alla ricerca di radici culturali e religiose in cui proteggersi.
Il primo suggerimento è per Califfato, la serie svedese in otto episodi, disponibile dal 20 marzo e che è già un caso di successo. Si raccontano le storie incrociate di alcune ragazze che vivono tra Stoccolma e Al-Raqqa, la capitale Daesh. Reclutate da una cellula terroristica operante in Svezia e organizzata da un giovane di origini egiziane, le giovani ragazze svedesi sognano di arrivare fino alla città siriana per servire la loro fede. Ma proprio ad Al-Raqqa una giovane mamma cerca disperatamente una via di fuga dal Califfato. Filo conduttore della storia l’indagine che conduce una poliziotta svedese, non amata dai suoi superiori e osteggiati dai servizi segreti del suo stesso Paese.
Il contatto telefonico – grazie a un apparecchio trovato per caso – con Pervin, la ragazza prigioniera in Siria, consente all’agente Fatima di ricostruire le mosse future dei terroristi e di sventare gli attentati. Ma non serve a salvare la vita di alcune di queste ragazze che, desiderose di ubbidire in ogni caso al volere di Allah, vengono coinvolte in operazioni pericolose e senza ritorno.
Al di là della trama, l’eccellente produzione scandinava – che si aggiunge ad altre recenti di assoluta qualità – ha il pregio di rappresentare uno spaccato realistico sulle condizioni drammatiche di vita dei figli delle famiglie di immigrati nei ricchi Paesi del nord. Un buon welfare e un efficiente sistema scolastico non sono sufficienti a dare a questi ragazzi ragioni valide per sentirsi accettati ed effettivamente integrati.
La seconda proposta è Layla M, un film della regista olandese Mijke de Jong (BlueBird, Frailer) che racconta la storia di una ragazza di origini siriane che vive con la famiglia ad Amsterdam e che si innamora – via internet – di Abdel, un giovanissimo combattente Daesh. Eludendo la sorveglianza della polizia e della famiglia, Layla riesce a scappare di casa e a raggiungere quello che considera il suo ragazzo, pronta a sposarlo. Si uniscono così ad altri militanti in Medio Oriente. Ma la realtà della vita tra gli uomini del Califfato per una donna è terribile, il rapporto con i maschi è improntato a una sudditanza violenta e irrispettosa, i compiti a cui devono assolvere sono solo quelli di servire e ubbidire. Alla fine Leyla decide di scappare e di rientrare in Olanda, ma al rimpatrio è accolta da un trattamento durissimo da parte dei servizi segreti olandesi.
Il terzo e ultimo consiglio e per il film di Kery James, star dell’hip-hop francese, Vita nella Banlieue, un racconto incentrato sulla vita di una famiglia di immigrati nella profonda periferia parigina. La storia è quella di tre fratelli che hanno seguito percorsi di vita molto diversi: il primo è un delinquente della zona, il secondo invece studia legge a Parigi e aspira a una carriera di avvocato, il terzo, più piccolo, si barcamena tra qualche furtarello e la scuola e non sa quale modello scegliere tra i fratelli più grandi. Lo studente ha contatti con i ragazzi della buona borghesia, e conosce una ragazza bianca che sfida in un lungo confronto pubblico in un’aula universitaria, ma a parti ribaltate: toccherà a lei difende le ragioni della periferia, e a lui il compito di spiegare le ragioni dello Stato.
La considerazione finale riguarda il tema delle reali condizioni di vita nelle periferie del ricco nord Europa. Scopriamo che sono molto diverse dalle periferie delle nostre aree urbane, ma soprattutto che sono peggiorate negli ultimi anni le condizioni di vita delle giovani generazioni di immigrati. L’abbandono di reali processi di integrazione e la mancanza totale di occasioni di promozione sociale ha prodotto una spaccatura profondissima.
L’Europa che abbiamo di fronte sembra incapace di offrire soluzioni accettabili, soprattutto perché non è solo – o almeno non è soltanto – questione di soldi. E non è un caso che le storie che abbiamo scelto si svolgono tutte in Paesi tra i più ricchi di Europa.