ieri a Gaza un raid israeliano ha centrato una tenda di al Jazeera, uccidendo i sei reporter occupanti. Secondo l'IDF, Anas al-Sharif era di Hamas
Con quale credibilità morale e politica i governi europei chiedono una “pace giusta” per l’Ucraina quando continuano a rifiutarsi di tagliare ogni rapporto militare, economico e politico con Israele? Qualche ora fa, l’unica “democrazia” in Medio Oriente, per procedere ancor più impunemente con la totale occupazione di Gaza, oltre che della Cisgiordania, e completare l’eliminazione del popolo palestinese, ha fatto fuori uno dei pochissimi giornalisti palestinesi ancora eroicamente presenti lì: Anas Al-Sharif.
Anas aveva 28 anni, lavorava per Al Jazeera, la Tv all news prodotta dal Qatar. Insieme a lui, sono stati uccisi gli altri tre giornalisti e il tecnico che era con lui. Le loro morti portano a quasi 200 il macabro pallottoliere di reporter uccisi dall’esercito israeliano.
Anas era consapevole dei rischi insiti nella missione di raccontare i fatti sotto i suoi occhi e contribuire a salvare il suo popolo, la sua patria: la Palestina. Qualche giorno fa, il Committee to Protect Journalists, organizzazione no profit nata a New York 44 anni fa per difende la libertà di stampa e i giornalisti, lo aveva avvertito del “grave pericolo” che correva. La sua ultima e imperdonabile “colpa” è stata di aver pianto durante una diretta di fronte a bambini affamati. Il giovane corrispondente aveva preparato un “testamento” morale e professionale.
Riportiamo un passaggio: “Se queste parole vi giungono, sappiate che Israele è riuscito a uccidermi e a mettere a tacere la mia voce. … mai per un giorno ho esitato a dire la verità così com’è, senza falsificazioni o distorsioni, sperando che Dio fosse testimone di coloro che sono rimasti in silenzio, di coloro che hanno accettato la nostra uccisione, di coloro che hanno soffocato il nostro respiro, i cui cuori sono rimasti insensibili ai resti dei nostri bambini e delle nostre donne, e che non sono riusciti a fermare il massacro che il nostro popolo ha sopportato per oltre un anno e mezzo”.

Ovviamente, nella narrazione del governo di Tel Aviv, Anas era a libro paga di Hamas. Qui la giustificazione dell’errore, utilizzata nel 2022, a Jenin, dopo l’assassinio della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh e tante, tante altre volte, non poteva funzionare.
Le altre 4 vittime non necessitano di motivazione. Erano con lui. Per le accuse e la condanna a morte di Anas, nessuna prova fornita. Prima dell’esecuzione, nessun tribunale è intervenuto.
Domina il diritto unilaterale della forza. È un diritto assoluto, slegato da qualunque norma di convivenza umana, oltre che dei trattati internazionali. Così sfacciato da consentire al premier Netanyahu ieri di etichettare come “fake” le news delle morti quotidiane per fame. Sarebbero invenzioni, ma dal 7 ottobre 2023 blocca l’accesso a Gaza ai giornalisti stranieri.
L’eliminazione delle fonti di verità scomode è la prima regola. La BBC, la Reuters, l’Associated Press e l’Agence France Presse settimana scorsa hanno pubblicato una nota congiunta nella quale affermano di “essere disperatamente preoccupati per i nostri giornalisti a Gaza, i quali sono sempre più impossibilitati a nutrire loro stessi e loro famiglie”.
I governi europei si limitano alle chiacchiere. Ora, si convertono al riconoscimento vuoto dello Stato di Palestina. Intanto, il governo Netanyahu, con largo consenso interno e internazionale, cerca di raggiungere, al prezzo di uno sterminio, l’obiettivo messianico della “Grande Israele”.
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