La lezione di san Giovanni Paolo II: comunismo battuto appellandosi alle coscienze. Si poteva fare anche in Iraq. Perché non ora in Ucraina?

Giovanni Paolo II è morto 20 anni fa. Difficile comprimere in poche parole la sua eredità spirituale. Forse è condensata nelle prime parole della enciclica Redemptor Hominis: “Il salvatore dell’uomo Gesù Cristo è il centro del cosmo e della storia. Dio sì è fatto uomo e si è reso incontrabile in una amicizia di uomini che attraversa la storia”.



Guardate da questo punto di vista tutte le cose del mondo si vedono in un modo diverso. Questo avvenimento è l’inizio ed il criterio di una nuova cultura.

Adesso l’Europa è in guerra in Ucraina. Ci sono molte analisi della situazione ed anche io, che sono un esperto e un professore, ho le mie. Però in questa occasione non ve le proporrò. Voglio piuttosto raccontarvi il ricordo di un incontro con Giovanni Paolo II. C’era la guerra in Iraq e gli occidentali volevano arruolare il Papa come cappellano della grande armata del Nuovo Ordine Mondiale. Giovanni Paolo II disse di no.



A me toccò il compito di andare a dirgli che l’Italia non poteva svincolarsi dalla Grande Armata del Nuovo Ordine Mondiale. Lui era addolorato. Non contestava il diritto dei governi di fare la guerra per tutelare l’ordine internazionale.

Era però deciso a chiarire che si trattava di una guerra tutta politica, non una guerra di religione, non una crociata, non una guerra in cui la Chiesa dovesse o potesse prendere partito. Intuiva che quella guerra poteva scatenare un conflitto epocale fra le religioni ed era deciso a fare tutto il possibile per evitarlo.

Alla fine del colloquio mi disse: “Noi abbiamo lottato per la verità e la giustizia sotto il regime comunista con le armi della non violenza. Non avevamo altra arma che l’appello alla coscienza dell’avversario e alla fine abbiamo vinto. L’Occidente ha tanti mezzi per convincere Saddam a rispettare l’ordine internazionale. Possibile che si decida comunque, alla fine, di fare ricorso alla forza delle armi?” .



Non sono un ingenuo e capisco il ruolo della forza nelle relazioni internazionali. Però mi domando: che ruolo ha nella nostra politica l’appello alla coscienza dell’avversario? Ha ancora un ruolo quell’appello nella nostra politica?

Quell’appello è l’espressione concreta dell’amore per il nemico. Non la sottomissione al male ma l’appello alla coscienza, che riconosce all’avversario la dignità di essere umano dotato di una coscienza che forse oggi è addormentata ma può essere risvegliata dalla forza di una testimonianza.

Avevamo sperato, allora, negli anni del pontificato di Giovanni Paolo II, nella nascita di un’altra politica, nella nascita non di un partito cristiano ma di una pratica cristiana della politica, capace di suscitare fra i popoli forme nuove e più umane di vita per l’uomo.

Gli avvenimenti del primo quarto di questo secolo hanno umiliato questa speranza, ma hanno anche riportato il mondo sull’orlo dell’abisso della guerra. Può rivivere quella speranza? E c’è qualcuno che ha voglia di scommettere su questa speranza?

Una volta Papa Francesco mi ha detto: “La Speranza non è un superficiale ottimismo ma un’àncora  per rimanere attaccati alla verità dell’uomo anche contro tutte le maree e i venti contrari della storia”.

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