Giuseppe Gulotta e Gaetano Santangelo, vittime di torture e condannati ingiustamente: Linea di confine ricostruisce 36 anni di dolore e verità negate
Stasera – in seconda serata su Rai 2 – Linea di confine darà ampio spazio alla storia di Giuseppe Gulotta e Gaetano Santangelo, al centro di uno dei casi più controversi della giustizia italiana: nel gennaio del 1976, due giovani carabinieri vengono assassinati nella caserma di Alcamo Marina, un fatto grave, che innesca un’indagine frettolosa e deviata, dove Giuseppe Gulotta – appena ventiduenne, muratore – finisce arrestato senza prove reali, costretto a confessare sotto torture brutali.
Subisce pestaggi, viene legato a un termosifone, colpito con scariche elettriche, spinto a firmare dichiarazioni mai lette, frutto di violenze fisiche e psicologiche in un contesto dove le forze dell’ordine cercavano responsabili ad ogni costo e le sue confessioni (come quelle del primo indagato Vito Vesco) furono ottenute attraverso metodi disumani come la cosiddetta “cassetta”, una tecnica che consisteva nel chiudere il detenuto in uno spazio in cui mancava l’aria, in bilico tra il soffocamento e il terrore, per indurlo alla resa.
La giustizia cominciò così a costruire un castello processuale fondato sul nulla, ma in appello, nel 1982, Gulotta viene condannato all’ergastolo, poi assolto, poi di nuovo condannato: otto processi, tre annullamenti in Cassazione, una lunga detenzione ininterrotta dal 1990 al 2010, mentre le rivelazioni dell’ex brigadiere Renato Olino – che nel 2004 ammise la verità sulle torture ordinate dal Tenente Colonnello Giuseppe Russo – restano ignorate per anni, così Gulotta e altri innocenti vivono prigionieri di un sistema che ha deciso la loro sorte prima ancora di ascoltarli.
Giuseppe Gulotta: le torture, il silenzio della giustizia e l’assoluzione che non restituisce il tempo perduto
Ammanettato, picchiato, costretto a confessare per porre fine al dolore, così inizia il lungo calvario giudiziario di Giuseppe Gulotta, trascinato in un processo dove le prove vere non esistono e le ritrattazioni vengono ignorate: Vesco – primo accusato – morirà in carcere in circostanze mai chiarite dopo aver subito metodi di interrogatorio simili, mentre gli altri imputati denunciano subito le violenze subite, già nel 1976, senza ottenere ascolto.
Nel tempo, persino le dichiarazioni di pentiti come Leonardo Messina – che nel 1999 parla di mandanti esterni e legami con trame eversive – vengono archiviate come irrilevanti, e la richiesta di revisione del 2009 – basata su prove documentate di torture – viene rifiutata dalla Corte d’Appello di Messina: Gulotta, costretto a proseguire la battaglia, si rivolge alla Cassazione, che trasmette il caso a Reggio Calabria, dove arriva l’assoluzione.
Dopo un lungo iter processuale, caratterizzato da condanne e successive revisioni, nel 2012 Giuseppe Gulotta – che aveva trascorso 22 anni in carcere – fu definitivamente assolto con formula piena; successivamente furono riabilitati anche Ferrantelli, Santangelo e, post mortem, Giovanni Mandalà, mentre Giuseppe ottenne un risarcimento di oltre 6 milioni di euro per ingiusta detenzione.
Gaetano Santangelo, torturato dallo Stato come Gaetano Gulotta: “36 anni di ingiustizia e nessuna scusa”
La notte del 12 febbraio 1976 i carabinieri irrompono in casa di Gaetano Santangelo, 16 anni, trascinandolo in caserma senza spiegazioni: fu picchiato per ore e, con una pistola alla tempia, firma una confessione estorta sotto tortura ma è solo l’inizio di 36 anni di persecuzione per la strage di Alcamo Marina con una nota sul registro carcerario che attribuisce le sue ferite a una “scivolata su una buccia di banana”.
Assolto in primo grado nel 1981, viene condannato a 22 anni in appello nel 1982, la Cassazione annulla il verdetto nel 1984, ma il processo si frammenta in rinvii, poi, nel 1992, con la condanna definitiva, fugge in Brasile per non separarsi dalla famiglia dove vive da latitante 27 anni, fino all’assoluzione del 2012 ma il Brasile nega l’estradizione in quanto il reato è prescritto; tornato in Italia nel 2019, lo Stato non gli chiede scusa né lo risarcisce.
La sua colpevolezza si basò su accuse del giovane Giuseppe Vesco, anch’egli torturato (legato e soffocato con la “cassetta”), e su confessioni illegittime ma nessuna prova materiale: Santangelo era un contadino senza legami con mafia o politica, e oggi, denuncia di aver perso la gioventù, i rapporti con i figli, e di vivere con cicatrici psicologiche.
Stasera, Linea di confine ricostruirà la vicenda parallela di Giuseppe Gulotta, 22enne torturato e condannato per la stessa strage – assolto nel 2012 dopo 22 anni di carcere – che ottenne un risarcimento milionario, e Santangelo che – invece – lotta ancora per un riconoscimento dell’ingiustizia subita.
