GUERRA ARMENIA-AZERBAIJAN/ “Ecco perché la Russia non aiuta Yerevan”

- int. Massimo Introvigne

Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan si aggrava sempre più, mentre scoppia la crisi in Kirghizistan. Il ruolo di Russia, Cina, Turchia e Iran dal Caucaso all'Asia centrale

putin jinping rouhani lapresse1280 640x300 Vladimir Putin, Xi Jinping e Hassan Rouani (LaPresse)

Doveva essere una delle tante guerre che durano solo pochi giorni, quella che contrappone Armenia e Azerbaijan per il contestato territorio auto-dichiaratosi indipendente del Nagorno-Karabakh, invece si sta trasformando in un vero e proprio conflitto che sta causando molte vittime civili. Decisamente preoccupata la Russia, da sempre alleata e sostenitrice dell’Armenia per motivi storici, religiosi e politici, che ha dichiarato come “la situazione si stia deteriorando, la gente continua a essere uccisa e questo è inaccettabile”. Il quadro è decisamente complesso: oltre alla Turchia, storicamente invece vicina all’Azerbaijan, nelle ultime ore è intervenuto anche l’Iran, facendo sapere che l’Armenia deve restituire i territori occupati all’Azerbaijan.

Nel frattempo, anche se a migliaia di chilometri di distanza, nei territori dell’Asia centrale, residui dell’ex impero sovietico, si è aperto un nuovo fronte, quello del Kirghizistan, dove la popolazione sta contestando le recenti elezioni. Qui la Russia ospita basi militari, ma ad accendere il focolaio è la Cina, che da sempre intrattiene rapporti economici “a filo triplo”, come spiega il professor Massimo Introvigne, sociologo, fondatore e direttore del Cesnur, che non nasconde la sua preoccupazione. “Il motivo di questi interventi di Russia, Turchia, Iran e Cina è che tutti per motivi propri intendono esercitare il controllo su questi paesi e non permettere la nascita di autentiche democrazie”. La Russia, aggiunge Introvigne, non interverrà mai militarmente a fianco dell’Armenia, altrimenti rischierebbe di perdere il controllo sui paesi a maggioranza musulmana.

Putin è intervenuto dicendosi preoccupato del conflitto armeno-azero. Pensa che un intervento militare sia possibile?

Mi sembra difficile, perché la Russia si trova in una situazione ambigua. Ha certamente legami storici ed economici con l’Armenia e l’opinione pubblica, soprattutto la Chiesa ortodossa, sta dalla parte degli armeni. Ma la Russia da anni sta sviluppando una politica di avvicinamento, con velleità di controllo, anche con l’Azerbaijan e una serie di paesi dove sta cercando di ricostruire una egemonia politica ed economica di stampo sovietico. Allo stesso tempo ci sono paesi come la Cina che tessono la loro tela di controllo esterno.

Intende dire che un intervento russo a fianco dell’Armenia provocherebbe una reazione dei paesi a maggioranza islamica della regione?

Sì, c’è la necessità di non interrompere le relazioni con tutta una costellazione di paesi ex sovietici che sono attratti dalle sirene cinesi e su cui la Russia vorrebbe mantenere un patronato post- sovietico. Un intervento sarebbe gradito, però rischierebbe di avere ripercussioni negative in altri paesi dove la Russia è in competizione con la Cina.

Sulla guerra del Nagorno-Karabakh è intervenuto anche l’Iran, chiedendo che l’Armenia restituisca i paesi occupati. Un attore in più in gioco: può compromettere gli equilibri della regione?

Certo. L’altro potere regionale con cui la Russia è in rapporti così come in competizione è l’Iran. È un problema anche questo. Qualunque intervento in favore dell’Armenia farebbe pendere la bilancia regionale verso Stati con popolazioni musulmane.

Un quadro così caotico quanto è preoccupante?

Da anni il Nagorno-Karabakh si accende e si spegne continuamente. Questa volta sembra una crisi più grave, anche per il peso della Turchia, che rispetto a crisi precedenti gioca un ruolo non solo diplomatico, ma – così sembra – anche militare, nel quadro di una politica che sta perseguendo, in un’ottica di egemonia, su un’area che arriva fino alla Mongolia e ovunque ci siano affinità etniche con Ankara. Interesse della Russia, quindi, è intervenire in modo soft e congelare la situazione.

Nel frattempo si apre il fronte del Kirghizistan, dove le elezioni sono state annullate e il presidente si è dimesso. Che cosa sappiamo di questo paese?

Mi sono recato diverse volte nel Kirghizistan, dove mi dicono che la situazione è assai confusa. Il governo è noto per la sua corruzione e i brogli elettorali sono tipici di paesi come Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan. Tutto quello che si dice del presidente è vero, ma quali siano le forze in campo non è chiarissimo, al di là di un malcontento nei confronti della corruzione imperante.

È però intervenuta la Cina, dichiarandosi preoccupata. Che ruolo ha Pechino?

La Cina in questo momento è più attiva di quanto fosse in Kazakistan. Per la Cina i due paesi cruciali sono proprio Kirghizistan e Kazakistan, perché nello Xinjiang cinese non ci sono solo gli uiguri perseguitati, ma anche kazaki cosiddetti etnici e kirghizi etnici, con passaporto cinese ma di appartenenza islamica. Anche loro sono perseguitati e spesso fuggono, guarda caso, in Turchia. Hanno parenti in Kirghizistan che spesso vanno in piazza a manifestare contro la Cina, che a sua volta interviene perché queste manifestazioni siano represse. Attualmente c’è molta più repressione che in passato. L’opinione pubblica non ha simpatia per la Cina, ma dal punto di vista economico questi due paesi sono legati a filo triplo alla Cina.

Siamo di fronte a un quadro internazionale molto complesso, dove le grandi potenze regionali si battono, per interposta persona, per garantirsi un’egemonia?

La rete politica corrotta nell’Asia centrale è una rete alimentata per il 70% dalla Cina e per il resto dalla Russia. Nessuno vuole vere e proprie democrazie, perché darebbero potere alla società civile, che è nazionalista e vuole autonomia sia da Mosca che da Pechino.

(Paolo Vites)





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