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Home » Lavoro » Pensioni » I NUMERI DELLE PENSIONI/ I rilievi dell’Ocse e le vie d’uscita per l’Italia

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I NUMERI DELLE PENSIONI/ I rilievi dell’Ocse e le vie d’uscita per l’Italia

Mauro Marino
Pubblicato 14 Dicembre 2023
mortalità covid pensioni

Inps (Lapresse)

Ieri l'Ocse ha diffuso il Rapporto Pensions at a Glance, che contiene alcuni utili spunti di riflessione sul sistema previdenziale italiano

Nella giornata di ieri l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha diffuso le proprie osservazioni sulla situazione delle pensioni degli Stati che aderiscono all’Organizzazione. Con cadenza biennale questo istituto fondato nel 1960 e che raggruppa 38 Paesi del mondo fa una fotografia sull’aspetto previdenziale offrendo ai Paesi membri la possibilità di discutere, rivedere e migliorare la loro politica economica, finanziaria, sociale, ambientale della formazione e dello sviluppo.


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Entrando nello specifico sulla parte che riguarda la situazione previdenziale italiana sono evidenziati alcuni aspetti che, pur nella loro complessità e gravità, gli addetti ai lavori conoscono già da tempo. Il primo dato che balza agli occhi è quello relativo all’esagerato aumento della vita lavorativa per chi si approccia ora al mondo del lavoro. Chi inizia ora, per effetto degli aumenti dell’età pensionabile legati a quello dell’aspettativa di vita che riprenderà a partire dal 2027, sarà costretto a restare nel mondo del lavoro fino a 71 anni. Tra i 38 Paesi che compongono l’Ocse nove di questi hanno legato l’età pensionabile all’aspettativa di vita che determina che entrando ora nel mondo del lavoro nei Paesi Bassi e nella Svezia si uscirebbe a 70 anni, in Italia e in Estonia a 71 anni e addirittura in Danimarca a 74 anni.


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L’Ocse continua affermando che l’età di pensionamento ordinario in Italia attualmente è di 67 anni, ma che sono ancora garantite alcune forme di pensionamento anticipato senza penalità che determinano che l’età media effettiva di pensionamento sia di 65 anni, poco sopra la media Ocse. Altro aspetto evidenziato è che gli stipendi sono troppo bassi e di conseguenza anche i contributi che pur in Italia costituiscono il 33% dell’imponibile e sono i più alti tra tutti i Paesi (media Ocse 18,3%) per effetto di stipendi molto bassi costringono in molti casi a rimandare il pensionamento. Si ricorda che nel passato l’Italia ha concesso la possibilità di andare in pensione prima dell’età pensionabile a condizioni molto vantaggiose, questo ha determinato che l’Italia abbia la seconda più alta spesa previdenziale tra tutti i Paesi dell’Ocse fissata al 16,3% del Pil che addirittura salirà fino al 17,9% nel 2035 per poi ripiegare. Inoltre, conclude il rapporto che in Italia nonostante il sistema contributivo introdotto dal 1996 abbia diminuito fortemente i costi previdenziali questi, a causa di una grossa fetta di assegni che sono stati pagati col sistema retributivo fino all’anno 2011, determinano costi ancora troppo alti e superiori del 12% rispetto alla media Ocse.


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Questi dati vanno però analizzati singolarmente con risultati che possono essere anche diversi rispetto a quanto immediatamente evidenziato. Il dato che riguarda l’aspettativa di vita che costringerebbe a raggiungere il pensionamento a 71 anni è probabilmente ottimistico perché prevede che a partire dall’anno 2027 (sempre che il Governo non intervenga con un blocco come fatto in questi anni recenti) ci sia un aumento costante dell’aspettativa di vita prendendo come base gli aumenti determinati negli ultimi trenta anni. Recentissimi studi evidenziano, invece, che gli aumenti successivi saranno molto più limitati perché oltre un certo limite la durata della vita media non può aumentare in maniera costante e uniforme.

Altro aspetto da analizzare è quello che fa riferimento a pensionamenti anticipati senza penalizzazioni. A parte, forse, la Quota 100 che effettivamente ha causato un costo consistente per le casse dell’Erario, le altre Quote 102, 103 e quella prossima del 2024 Quota 103 contributiva non determinano costi elevati, ma auspicando, invece, che ci sia una flessibilità in uscita basterebbe applicare delle lievi penalizzazioni annue a chi volesse uscire prima dal mondo del lavoro contrapposte a forme di incentivi a chi, invece, volesse ritardare il pensionamento oltre l’età ordinamentale. I costi sarebbero molto limitati e compensati da chi rimanendo più anni in attività lavorativa godrebbe per meno anni dell’assegno previdenziale.

Riguardo, poi, al costo totale della previdenza in Italia che all’attualità è al 16,3% del Pil, secondo tra i 38 Paesi Ocse, e che dovrebbe poi aumentare fino al 17,9% nel 2035, basterebbe attuare la separazione tra previdenza e assistenza di cui si parla da anni facendo gravare, giustamente, i costi dell’assistenza sulla fiscalità generale. Il costo da bilancio della previdenza scenderebbe a circa il 12% del Pil, perfettamente in linea con i Paesi più virtuosi.

Analizzando le pensioni pubbliche, ovviamente l’Ocse in questo rapporto non fa alcun cenno a tutta la parte relativa alla previdenza complementare che seppur faticosamente sta entrando sempre più nelle case e nella mente di tutti gli italiani. Un ingresso repentino a forme integrative dei giovani appena assunti farà loro avere quel 20-30% di pensione da aggiungere a quella pubblica e raggiungere oltre l’80% di tasso di sostituzione necessario per avere una vita decorosa da pensionati.

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Tags: Quota 103Quota 100Quota 102Riforma pensioni

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