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Home » Sanità, salute e benessere » I NUMERI/ Perché non si dice che i morti di Covid non sono più quelli di marzo?

  • Sanità, salute e benessere
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I NUMERI/ Perché non si dice che i morti di Covid non sono più quelli di marzo?

Marco Pugliese
Pubblicato 18 Ottobre 2020 - Aggiornato alle ore 12:49
massimo fini

(LaPresse)

I dati. I numeri. I grafici. Ogni giorno il rituale si ripete da marzo. Ma i numeri del Covid di oggi sono molto diversi rispetto ad allora

I dati. I numeri. I grafici. Ogni giorno il rituale si ripete da marzo. L’impennata di contagi tra il 5 e il 16 ottobre 2020 (circa il quintuplo) ha portato a comparare i dati partendo da numeri che apparentemente sembrano uguali ma che provengono da contesti e scenari diversi. Il 21 febbraio 2020 esplodeva il primo focolaio su suolo italiano, a Codogno in provincia di Lodi. Circa un mese dopo, tra il 20 marzo 2020 e il 24 marzo 2020 i positivi quotidiani erano in media 4.500. Una cifra assai simile a  quella dell’8 ottobre 2020. A marzo si contavano anche 601 decessi e parecchie migliaia di ricoverati in tutta Italia (uno dei dati più critici per l’intera struttura sanitaria).


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Oggi gli altri dati sono assai diversi (per fortuna al ribasso), soprattutto i decessi, in media poco sopra i 20. Il numero dei tamponi risulta decuplicato.

A marzo 2020 i tamponi “processati” si aggiravano sui 17.000 al giorno (il 28% dei quali era positivo), ad ottobre 2020 invece sono stati eseguiti 130.000 tamponi (3,5% positivo) e quindi (almeno in Italia) assistiamo ad una “seconda ondata” prevista ma più controllata (lo avevamo scritto a giugno), a patto che si agisca come fatto fino ad ora (distanziamento, tracciamento e immediato intervento di cluster con screening a tappeto).


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In questo grafico:

osserviamo l’aumento effettivo dei positivi giornalieri (quadro temporale luglio-ottobre) ed osserviamo l’impennata dell’ultimo periodo. I dati sono quadruplicati ma sotto “controllo” grazie alla mole di tamponi (spesso effettuati in modalità screening).

Rispetto alla Spagnola il virus corre più veloce ed è “caotico”

Già nel 1918, dopo ogni curva d’espansione si registrò un brusco calo del contagio (e ovviamente dei decessi, che per la Spagnola furono milioni), grazie a forme di “contenimento igienico”, blocchi parziali e localizzati, quarantene (soprattutto le isole). Le differenze, in positivo, con il Covid-19 sono molte: a livello tecnologico non c’è confronto, perché in soli tre mesi i sanitari di tutto il mondo hanno compreso come intervenire onde evitare un decorso grave, anche se ancora presente (sono in corso studi anche riguardo alle recidive, che fanno sballare i modelli). A questo vanno aggiunte le misure di blocco e contenimento che hanno contrastato l’unico punto debole della nostra civiltà tecnologica rispetto al 1918: l’ipervelocità di spostamento e innumerevoli variabili che rendono il virus non mappabile con modelli matematici deterministici.


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Se per la Spagnola ci vollero quasi due anni per raggiungere gli estremi del globo, nel 2020, tra voli aerei, viaggi e rotte commerciali, in soli tre mesi il virus ha fatto il giro del mondo. Inoltre, rispetto al 1918, grazie a tamponi e test, i cluster sono stati, nella seconda fase, bloccati sul nascere. Il virus si muove all’interno del numero di interazioni per persona, motivo per cui il dato Rt risulta fondamentale. R0 è un parametro che indica la contagiosità senza contesto ma sui generis, deve stare sotto ad 1 (il numero dopo la R infatti misura quante persone il singolo infetto può contagiare). È una misura potenziale ed il Covid ha una media di 2,5 (su dato globale). Rt invece è una misurazione su contesto, quindi più reale. In pratica, nel caso specifico, si calcola la trasmissibilità reale in uno scenario “contenuto” (quindi con annesse misure quali mascherine, distanziamento, sanificazioni, etc). Anche in questo caso, occorre tenere Rt sotto 1 o si rischia di finire in “zona esponenziale” (se pari a 2, significa che una persona ne contagia due, due ben quattro, quattro otto e così via).


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I numeri più bassi (sempre riferiti alla tabella di comparazione Covid-19 e Spagnola) sono riferiti all’applicazione dei protocolli sanitari, più efficaci oggi rispetto al 1918, quando la malattia esplose contagiando 500 milioni di persone ed uccidendone 50 milioni, ovvero il 10% (sono stime, i numeri reali non si conoscono). La percentuale per il Covid-19 è intorno al 3%, con circa 40 milioni di contagi e più di un milione di morti, numeri per fortuna lontani dalla terribile Spagnola. La comune influenza uccide ogni anno circa 500mila persone in tutto il mondo su più di 350 milioni di contagiati, soprattutto in Africa. In Italia siamo in media tra gli 8.000 e gli 11.000 decessi (tra diretti e indiretti) annui (negli ultimi 10 anni) su milioni di contagiati per un rapporto medio di decessi sotto l’1%. Dati quindi lontani dal Covid-19, che per nostra fortuna, non è letale come la Spagnola ma nemmeno paragonabile ad una normale influenza: dati alla mano il Covid risulta meno virulento anche se (nelle fasce più fragili) riporta una mortalità tripla, ma che può essere contenuta con protocolli rapidi. Il dato della mortalità al 3% circa è quindi parziale e lo avremo definitivo nel momento in cui sarà chiaro l’ effettivo numero di contagiati, oggi non stimabile completamente. Dunque: serve attenzione ma senza panico.


INCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.


–

I dati dell’articolo provengono da https://coronavirus.gimbe.org/ e https://www.iss.it/

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