L’insicurezza alimentare acuta cresce. La crisi rafforza la sua presa su 19 “punti caldi della fame”, spinta da conflitti crescenti, condizioni climatiche estreme e instabilità economica aggravata dalla pandemia e dagli effetti a catena della crisi in Ucraina. I risultati del rapporto Hunger Hotspots – FAO-WFP early warnings on acute food insecurity – pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e dall’agenzia ONU World Food Programme (WFP) -, lasciano poco spazio all’ottimismo.
Il documento mette soprattutto in luce la crisi della fame nel Corno d’Africa, dove si prevede il protrarsi della siccità più lunga degli ultimi 40 anni – con la quinta stagione delle piogge fallita all’orizzonte -, che si va ad aggiungere agli effetti cumulativi e devastanti della mancanza di precipitazioni, delle crisi economiche e dei conflitti che hanno colpito le famiglie vulnerabili dal 2020. La scarsità d’acqua – continua il rapporto – ha portato a raccolti inferiori alla media e alla morte del bestiame, costringendo centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie terre in cerca di sostentamento e aumentando al contempo il rischio di conflitti.
Un mix esplosivo che potrebbe produrre danni enormi: l’Onu prevede infatti che fino a 26 milioni di persone dovranno affrontare livelli di insicurezza alimentare di crisi o peggiori (livello IPC3 e superiori) in Somalia, Etiopia meridionale e orientale e Kenya settentrionale e orientale. E non è tutto. Si profila infatti anche il pericolo che l’assistenza umanitaria venga tagliata a causa della mancanza di fondi. Il che aprirebbe le porte allo spettro di decessi su larga scala per fame in particolare in Somalia, lasciando spazio a una carestia che, a ottobre, potrebbe travolgere i distretti di Baidoa e Burhakaba nella regione di Bay. Con un bilancio tragico: già oggi centinaia di migliaia di persone stanno affrontando la fame con livelli altissimi di malnutrizione previsti tra i bambini sotto i 5 anni, ma senza un’adeguata risposta umanitaria – è l’allarme lanciato dall’Onu -, entro dicembre potrebbero morire, ogni giorno, fino a quattro bambini o due adulti ogni 10.000 persone.
Il Corno d’Africa non è però l’unica area a rischio. Nella categoria “massima allerta”, infatti, oltre a Somalia ed Etiopia, ci sono pure Afghanistan, Nigeria, Sud Sudan e Yemen Tutti insieme, questi Paesi raccolgono quasi un milione di persone che affrontano livelli catastrofici di fame (livello IPC 5 “Catastrofe”).
E alla lista si devono poi aggiungere Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Kenya, Sahel, Sudan, Siria, Repubblica Centrafricana e Pakistan, che si inseriscono nella categoria “preoccupazione molto alta”. Senza dimenticare l’allerta lanciata per Guatemala, Honduras, Malawi, Sri Lanka, Zimbabwe e Madagascar, che rimangono punti caldi della fame.
Il rapporto delle Nazioni Unite chiede quindi un’azione umanitaria pronta ed efficace: “Senza una risposta su vasta scala che abbia al centro un’assistenza agricola urgente e salvavita, la situazione probabilmente peggiorerà in molti Paesi nei prossimi mesi”, afferma afferma QU Dongyu, Direttore Generale della FAO.
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