La rottura tra esercito e governo che si è consumata in Israele non è stata ancora riassorbita. Il gabinetto di guerra è stato aggiornato a domani

Se quello che sta accadendo a Gerusalemme avesse per teatro una qualsiasi altra capitale del globo, i media avrebbero pochi dubbi: parlerebbero di colpo di Stato militare in corso. Classificherebbero il documento sottoscritto da 600 ex ufficiali delle forze armate e dei servizi di intelligence contro il governo Netanyahu sull’occupazione di Gaza alla voce “pronunciamiento”: in originale spagnolo come “golpe”, perché è in Sudamerica che negli ultimi due secoli si è consolidata la prassi delle svolte militari contro regimi liberali fragili.



Nessuna narrazione mediatica sembra tuttavia in grado di nascondere la realtà odierna nello Stato ebraico, che fra i suoi molti orgogli vanta di essere dal 1948 l’unica democrazia del Medio Oriente.

L’espulsione violenta dalla Knesset di Ofer Cassif, ovvero l’unico deputato israelita eletto nelle liste del partito che rappresenta principalmente i cittadini arabi di Israele, appare distante di pochissimo da un episodio della storia italiana, molto e giustamente ricordato l’anno scorso nel centenario: l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che nel giugno 1924 era reduce dall’aver pronunciato alla Camera un discorso che smascherava il clima di golpe civile strisciante nel Paese da parte di Benito Mussolini e del partito fascista, non ancora egemone dopo le ultime elezioni.



Benito Mussolini (1883-1945)

Quel golpe era in corso dall’ottobre 1922 e maturò definitivamente nel gennaio 1925 con il varo delle leggi liberticide, a valle dello sterile “Aventino” con cui le opposizioni risposero all’omicidio Matteotti.

I generali italiani, allora, si schierarono con il Re in appoggio della nuova dittatura. Solo nel 1943 cooperarono con il monarca nell’abbattere il Duce. Ma non salvarono niente e nessuno: neppure se stessi, neppure la dinastia sabauda.

Il Paese, nel frattempo, venne definitivamente distrutto e lacerato: terreno di un pezzo di guerra mondiale (che anche l’Italia aveva voluto) e di una sanguinosa guerra civile.



L’Italia di allora sbagliò a imboccare il bivio di fronte alla minaccia di golpe civile, subito dopo gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale. E quando imboccò quello del golpe militare – nel pieno della seconda guerra mondiale – era tardi.

Tutti – certamente quanti abitano le democrazie occidentali – hanno buone ragioni per augurarsi che lo Stato ebraico rifiuti l’opzione del golpe militare come estrema ratio contro il rischio di un golpe civile, che a Gerusalemme appare sempre più in via di realizzazione (soprattutto dopo il licenziamento del procuratore generale Gali Baharav-Miara).

La via della democrazia (che non è la terza, ma resta la prima) appare ancora ben aperta a Gerusalemme. E il popolo ebraico è il primo a conoscere quali destini tragici si possano preparare ovunque sul globo quando le dittature prevalgono e le guerre mondiali si prolungano. Hiroshima lo ha ricordato ieri. Ad Auschwitz verrà nuovamente ricordato nel gennaio 2026: se la Memoria della Shoah non verrà irreparabilmente oscurata a Gaza.

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