Ieri, dopo alterne vicende e trattative infruttuose con i capi di Hamas sulla liberazione degli ostaggi, Netanyahu ha deciso l'occupazione di Gaza
Ci sono notizie che ci portano a riflettere ben al di là della cronaca perché coinvolgono stati d’animo sedimentati negli anni. Succede per l’atteggiamento dei vertici del governo israeliano sulla crisi di Gaza, se solo si pensa – anche chi, come chi scrive, è da sempre amico di Israele – alle conseguenze di questa decisione.
Un azzardo non solo per il coinvolgimento di milioni di persone innocenti con i relativi problemi umanitari, ma per la credibilità stessa dello Stato di Israele nei confronti dei governi e delle innumerevoli persone che negli anni avevano supportato questa piccola isola di democrazia in un Medio Oriente devastato.
Leggere che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe confermato la decisione di occupare completamente la Striscia di Gaza e trasmesso l’ordine al capo di stato maggiore (che ragionevolmente ne intuisce fino in fondo le conseguenze) con un secco: “Se non gli va bene, allora dovrebbe dimettersi”, significa prendere decisioni che la Storia giudicherà, ma che sembrano assurde e soprattutto inattuabili. Per di più, la decisione sarebbe arrivata, riportano le fonti di stampa, con “l’ok di Trump”. Non è dato sapere molto di più, al momento, del surreale ma significativo e complice via libera arrivato dall’Amministrazione americana.
Come si può pensare che poche migliaia di soldati israeliani possano controllare nel tempo un territorio che prima del 7 ottobre 2023 era occupato da oltre due milioni di persone stipate in 365 chilometri quadrati e che quasi tutte sono individualmente ostili al governo di Gerusalemme?
Gli israeliani possono temporaneamente occupare Gaza con la forza, il terrore, le armi, ma non c’è dubbio che questo scatenerà una resistenza accanita ben oltre la potenza di fuoco di Hamas, moltiplicando soprattutto un odio reciproco perenne e alla lunga insopportabile.
Intanto, con questa scelta, Israele perderà l’appoggio politico di gran parte dei governi occidentali, rafforzando politicamente proprio i palestinesi.
Uno dopo l’altro gli alleati di Israele si vedono e si vedranno costretti a riconoscere uno Stato che di fatto non esiste, ma che progressivamente sta raccogliendo consensi davanti al perpetuarsi di una crisi infinita, che – pur giustificata dal mancato rilascio di una cinquantina di ostaggi – ha ormai allineato più di 50mila morti, tra i quali sicuramente molti capi di Hamas, ma anche un gran numero di civili del tutto innocenti.
Chiuse le frontiere, Gaza è diventata un lager dove quotidianamente si muore mentre si corre alla ricerca di cibo, un lager che ricorda proprio quelli in cui furono rinchiusi gli ebrei dalla follia nazista.
Israele perde così progressivamente quel credito internazionale legato proprio a quelle memorie e oggi prende una decisione che difficilmente porterà alla liberazione degli ostaggi.
Anche all’interno di Israele molti non condividono queste scelte ed è facile accusare Netanyahu di voler perpetuare la crisi anche per non finire sotto processo. Ma è improbabile che il premier israeliano abbia un futuro politico oltre le prossime elezioni.
Non aiuta in questo senso la volontà governativa di licenziare il procuratore generale, Gali Baharav-Miara, con l’Alta Corte di Israele che immediatamente ha emesso un’ordinanza provvisoria che congela il licenziamento, ribadendo che l’esecutivo non ha l’autorità per sollevare il magistrato dall’incarico. Proprio Baharav-Miara ha svolto il ruolo della pubblica accusa nel processo per corruzione contro Netanyahu.
Una frattura profonda che spacca in due la politica, l’opinione pubblica e gli stessi vertici dell’esercito israeliano, a sottolineare la crisi che attraversa un Paese che due anni fa si era fatto trovare con la guardia clamorosamente abbassata.
Ma la decisione di oggi è soprattutto destinata a disegnare un futuro sempre più difficile e incerto per lo Stato ebraico, anche perché sono evidenti le tolleranze – quando addirittura non l’appoggio plateale – a iniziative provocatorie degli estremisti religiosi e dei coloni, che non solo attaccano gli arabi musulmani, ma non nascondono volontà persecutorie anche contro i cristiani che da sempre vivono in quell’area.
Incombono tempi tremendi, con il governo israeliano che si è assunto davanti all’opinione pubblica mondiale una responsabilità che potrebbe anche portare non solo al moltiplicarsi dei fronti di guerra, ma a minacciare la stessa esistenza di Israele che, senza l’aiuto occidentale e soprattutto degli USA, rischia davvero il tracollo.
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