ITALIA-SEI NAZIONI: IL VIAGGIO CONTINUA
L’Italia del rugby ha appena concluso l’ennesimo Sei Nazioni deludente: cinque partite e altrettante sconfitte, batoste subite da ogni singolo avversario, ancora una volta il cucchiaio di legno messo in bacheca (si fa per dire) e i record negativi che continuano a crescere a dismisura. Lo ha ben sintetizzato Domenico Calcagno in un articolo per il Corriere della Sera, nel quale ha anche argomentato i motivi per cui la nazionale di rugby resterà nel torneo più prestigioso d’Europa: dal 2000, anno in cui siamo stati invitati a giocare il Sei Nazioni grazie alle vittorie degli anni precedenti, l’Italia ha vinto appena 12 partite su 110. Aggiungiamoci pure un pareggio: in percentuale gli azzurri hanno perso un incredibile 88,2% di gare.
Certo, va considerato che gli avversari sono colossi di questo sport; ma va anche considerato che non stiamo parlando di un Mondiale in cui ci si qualifica nella propria federazione continentale per poi affrontare gli squadroni, bensì – appunto – di un torneo al quale l’élite del rugby europeo ci ha regolarmente invitati. Come dire: siete degni di giocare con noi. La realtà del campo ha detto altro ma, per l’appunto, l’Italia resterà all’interno del Sei Nazioni e continuerà a suscitare dubbi, perplessità e qualche risatina di troppo per la sua presenza.
I MOTIVI DELLA PERMANENZA NEL SEI NAZIONI
I motivi per cui l’Italia resta nel Sei Nazioni di rugby sono anche abbastanza chiari: ovviamente, di carattere economico. Conviene alla nostra federazione, conviene alle altre: da una parte infatti il nostro movimento nazionale, che aveva un valore intorno ai 4 milioni di euro, ha decuplicato tale cifra visto che la quota spettante per partecipare alla competizione è di 40 milioni. Non è però solo un discorso interno: ad esempio, a Twickenham l’Inghilterra guadagna 12 milioni di euro nell’ospitare una partita, e questo vale anche per il nostro XV. Ai nostri avversari non conviene farci fuori, anche perché in questo modo (lato sportivo) aumenterebbero di molto le possibilità che il cucchiaio di legno vada a una di loro (lo dicono i numeri di cui abbiamo già parlato); a noi non conviene uscire volontariamente dal Sei Nazioni perché senza la partecipazione a questo torneo torneremmo al punto zero, il che sarebbe deleterio a livello di movimento inteso anche dal basso. Calcagno a dirla tutta una soluzione l’avrebbe giocata: perché l’ultima classificata nel Sei Nazioni non gioca uno spareggio con la settima europea per la partecipazione all’edizione seguente? Interessante, ma verrebbe meno il meccanismo a inviti e, come detto dallo stesso autore, il rischio di perderlo, quello spareggio, toccherebbe magari alle big…