Se si pensa che, pochi anni fa, in Islanda il progetto di una superstrada è stato fermato e quindi modificato per le proteste della popolazione che non voleva che la strada attraversasse una zona in cui, secondo i cittadini, vivono folletti ed elfi, è facile capire quanto questa piccola isola dell’estremo nord sia ancora oggi depositaria di miti e leggende che risalgono alla notte dei tempi. Sarà l’isolamento, saranno le condizioni climatiche estreme, ma certamente l’Islanda conserva una apparenza magica come pochi luoghi sulla Terra. Hanno avuto perciò facile gioco gli sceneggiatori e registi Sigurjón Kjartansson e Baltasar Kormákur (il regista islandese più apprezzato al mondo, di cui si ricorda soprattutto l’affascinante Everest del 2015) ad ambientare la serie disponibile su Netflix in otto episodi Katla in questo paese, pescando profondamente da miti e saghe inquietanti.
A metà strada tra l’horror e il thriller, Katla è piuttosto una profonda indagine psicologica piena di colpi di scena, che tiene incollato lo spettatore a ogni episodio, che a molti farà venire in mente il mitico Twin Peaks di David Lynch, seppure ci sia un abisso tra i mezzi di trent’anni fa e quelli odierni. È il tema del doppelganger caro al regista americano (“Siamo come il sognatore che sogna e vive dentro al sogno: ma chi è il sognatore?”) che in Katla si ripete con allucinante e terrorizzante continuità.
Vik, minuscolo paesino sulle coste islandesi, realmente esistente e rinomata meta turistica, è dominato da uno dei tanti imponenti vulcani islandesi, Katla, alle prese da oltre un anno con una delle sue consuete eruzioni di cenere che hanno obbligato tutti i residenti all’evacuazione. Sommersi dalle ceneri, in una ambientazione claustrofobica, grigia, angosciante, sopravvivono solo il capo della polizia con la moglie malata in fin di vita e il figlio; la direttrice del piccolo ospedale con una infermiera; una coppia di allevatori e il padre di lei; una coppia di ricercatori scientifici. È ancora aperto il piccolo albergo locale tenuto da una donna misteriosa, che sembra sapere di ogni mistero.
In questo quadro, dove il silenzio, i pensieri angoscianti, ricordi onirici, suicidi e sparizioni aleggiano come la nebbia prodotta dalle eruzioni, spunta dalle viscere del vulcano una donna completamente nuda, ricoperta solo dalle ceneri. Viene portata in ospedale, curata, ma quando si reca da lei il meccanico del paese, padre della moglie dell’allevatore, alla sua vista rimane scioccato e fugge, mentre lei si alza dal letto chiamandolo per nome, come se si conoscessero da sempre. Chi è la donna uscita dal vulcano?
È solo la prima di una lunga serie di apparizioni, tra cui la sorella della figlia del meccanico, scomparsa da un anno in un ghiacciaio e data morta e il figlio di otto anni di uno scienziato giunto sul posto morto tre anni prima. Uno dopo l’altro appariranno altri personaggi, in un crescendo sempre più inquietante.
Non faremo altri spoiler, tanto ogni finale di puntata fa sobbalzare sulla poltrona. Diremo che la serie è girata benissimo: il mare freddo e oscuro, faraglioni vulcanici che si ergono come simboli di morte, il grigiore predominante del paesaggio esterno, tutto amplifica un senso di inquietudine ben sottolineato da un ritmo sceneggiativo lento e da una regia compassata, la quale ama soffermarsi sui volti dei personaggi dai quali traspare prepotentemente una estrema sofferenza interiore. La colonna sonora, angosciante e ansiogena, riesce ad amplificare di molto il senso di inquietudine e mistero dell’intero corpus narrativo.
Alla fine, quello che emerge è una serie di drammi familiari celati dai protagonisti, ma che le apparizioni portano alla scoperta, costringendo ognuno di loro a fare i conti con il proprio passato e il proprio futuro. E sebbene il finale sia positivo, l’apparizione dal fumante vulcano di una nuova serie di personaggi coperti di cenere fa presagire che tutto possa ricominciare da capo. Come succede ormai raramente, Katla è una di quelle poche serie che obbliga come successo al sottoscritto al Binge watching, ovvero a una immersione totale nel vedere, senza sosta, un episodio dopo l’altro fino alla fine. Bravissimi gli interpreti, tutti islandesi e sconosciuti al pubblico europeo.
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