La sentenza che ha condannato Marine Le Pen alla ineleggibilità è il terzo episodio deciso dai giudici in Europa per cambiare il quadro politico

La sentenza che ha condannato Marine Le Pen alla ineleggibilità per cinque anni – di fatto impedendole di correre nel 2027 per l’Eliseo – ha scatenato fiumi di commenti, ma a ben guardare è il terzo atto in poche settimane con i quali le magistrature nazionali stanno condizionando il futuro politico dei rispettivi Paesi.



Come non ricordare il caso del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il più importante potenziale avversario di Erdogan, che è stato arrestato per presunta corruzione, o l’annullamento delle elezioni presidenziali romene con la squalifica di Calin Georgescu, vincitore al primo turno di dicembre ed ora eliminato per “filo-putismo” anche da quelle del mese prossimo con la sua conseguente e definitiva uscita di scena?



Se fa sorridere che proprio Putin, parlando della Le Pen, sottolinei la “lesa democrazia” in Francia, non c’è dubbio che in tutti e tre i casi si aprano seri dubbi sul futuro democratico di questi Paesi e soprattutto sull’influenza determinante che i giudici possono avere sui risultati elettorali.

C’è da dire che, mentre i media rilevano unanimi i metodi antidemocratici di Erdogan, pochi hanno spiegato la situazione romena e ancora meno hanno per ora chiarito bene i meccanismi della condanna di Le Pen, limitandosi a ripetere i capi d’accusa e “sparando” la notizia della appropriazione indebita a carico suo e di otto colleghi europarlamentari del Rassemblement National che però, comunque la si giri, non hanno incassato un euro.



Viene da chiedersi come sia possibile nella civilissima Francia che un giudice di primo grado blocchi di fatto la candidatura presidenziale della candidata in testa ai sondaggi per presunti reati vecchi fino a 16 anni fa decidendo una ineleggibilità immediata dopo solo il solo primo grado di giudizio.

Il giudice ha sottolineato che “la legge è uguale per tutti”, ma questa legge è entrata in vigore dopo i fatti ascritti alla Le Pen e non è chiaro se l’Europa si sia mossa nei controlli – dopo la denuncia di due eurodeputati socialisti – andando a verificare la posizione di tutti i gruppi a Strasburgo e non solo quella dell’allora Front National.

La questione è sottile, perché non c’è dubbio che un eurodeputato venga eletto grazie all’attività svolta in patria dal proprio partito, e quindi – se anche fosse vero che i dipendenti del gruppo ufficialmente dovevano stare a Strasburgo – il FN non ha mai negato come invece lavorassero a Parigi per creare politicamente le condizioni di far eleggere deputati a Strasburgo e quindi anche per i diretti interessati.

Va obiettivamente spiegato che – volenti o no – questa era la prassi di quasi tutti e non solo all’Europarlamento, ma anche in casa nostra. Porto un esempio personale: quando ero deputato il mio “portaborse” – pagato da Montecitorio – lavorava nel mio collegio per me, ma anche per il partito: appropriazione indebita? Ma se il deputato non “puntella” il proprio partito sul suo territorio, come potrà mai essere rieletto?

Non siamo noi i giudici e ammettiamo pure che la condanna di Le Pen sia severa ma giusta. Resta comunque il punto fondamentale: si può per questo squalificare anticipatamente un candidato? In Italia abbiamo la “legge Severino” nata (come in Francia) per una maggiore trasparenza della politica. Nobile obiettivo, ma si è dimostrato come, applicandola, a volte sia diventato un buon metodo per eliminare o condizionare candidature scomode e per la Le Pen la decisione sulla “pena accessoria” – ovvero se applicare subito o meno la ineleggibilità – era del tutto discrezionale.

Intanto ad Istanbul hanno eletto un sindaco pro-tempore (Nuri Aslan) dello stesso Partito Popolare Repubblicano di Imamoglu, impedendo la nomina di un commissario governativo, e quindi, alla fine, per Erdogan il suo arresto rischia di diventare un boomerang.

Anche in Romania le proteste continuano, ma intanto tutto il centrodestra si è coalizzato su un candidato (George Simion) ancor più radicale di Georgescu per le elezioni del 4 maggio e vedremo come andrà a finire.

E in Francia? Chissà che alla fine per il Rassemblement National non sia un affare trovare un altro candidato (Bardella?) che poi – se fosse eletto – potrebbe chiamare proprio la Le Pen a fare il primo ministro. Già, perché l’ineleggibilità non si applica in caso di nomina anziché di elezione. Fatte le pentole, a volte si dimenticano i coperchi.

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