Se la violenza è generata da chi non è felice perché non accetta l'esistenza dell’altro, occorre chiederci che cosa (o Chi) può realizzare la nostra vita
Caro direttore,
ho visto girare su qualche social una interessante osservazione, che sintetizzerei così: la violenza, compreso il suo estremo che è la guerra, è generata da chi non è felice e, quindi, non accetta l’esistenza dell’altro, considerato come un intruso. Da questo deriva la domanda: ma allora cosa ci fa felici? Domanda molto giusta, che, a mio parere, esige una risposta altrettanto chiara e urgente.
Oso proporre una risposta basata sulla mia esperienza personale e su quella di tanti amici che da tanti anni condividono la stessa strada. Ci avviciniamo all’esperienza della felicità quando scopriamo che la vita ha un senso e che essa non è inutile.
Per me e per tanti è possibile dare un nome a questo “senso”: non ho vergogna di dire che si chiama Gesù Cristo, venuto tra di noi proprio perché era impossibile per noi essere lieti da soli, data la misteriosa “caduta” (copyright Chesterton) che sta all’origine di ogni vita umana e, quindi, di ogni infelicità.
Voglio dire, cioè, che la risposta alla giusta domanda c’è ed è un giovane ebreo, vissuto 33 anni e morto violentemente per amore nei nostri confronti, cioè per renderci felici. Lui parlava di gioia. La strada della positività della vita è stata tracciata da un uomo/Dio che aveva un nome, che è nato in un certo luogo, ed ha attraversato a piedi tutta la Sua terra per testimoniare che non era solo la strada, ma era anche la verità e la vita. Era un uomo con cui si poteva mangiare, parlare, camminare, vivere in un modo che nessuno fino ad allora aveva sperimentato.
La strada che porta verso una vita diversa inizia con l’incontro con questa misteriosa persona. L’incontro con Lui cambia letteralmente la vita, donando a chi gli è fedele l’esperienza inaspettata del “centuplo”. La risposta alla giusta domanda, quindi, c’è ed è nostra responsabilità riproporla continuamente, mettendo in gioco tutti i talenti di cui Lui stesso ci ha arricchito.

E Cristo non è una sorta di fantasma vissuto più di duemila anni fa. La stessa esperienza dell’incontro fatta dai primi apostoli la possiamo vivere noi oggi, in questo terribile secolo XXI, imbattendoci nella compagnia di coloro che lo hanno già incontrato.
Oggi Cristo vive nella comunità da Lui voluta per rendere ineliminabile la Sua presenza in questo mondo, garantendo che “le tenebre non prevarranno”; non è un puro spirito accessibile solo a dei visionari, ma è presente carnalmente tra di noi nella Sua Chiesa e nei Suoi sacramenti, in primis l’eucaristia. È presente concretamente attraverso una compagnia di uomini e di donne (“dove due o tre sono riuniti nel mio nome…”), nel pane e nel vino del Suo corpo, nell’acqua purificatrice del battesimo, nel sacro olio per la cresima, nelle parole della nostra confessione.
Insomma, Cristo non è una realtà lontana da noi, ma è concretamente presente tra di noi, anche se misteriosamente, come dopo la Risurrezione. Anche oggi, cioè, l’incontro con Lui è sperimentabile fino alla conversione, il vero grande miracolo.
Noi cristiani abbiamo la responsabilità di indicare, senza timore e senza esitazioni, il “luogo” (la Chiesa nelle sue varie presenze concrete) dove possiamo fare l’esperienza di Cristo, come risposta alla nostra grande e inestirpabile esigenza di felicità.
Dunque la risposta alla domanda c’è ed è incontrabile oggettivamente. A noi il compito di proporla, che è anche il modo migliore per viverla tutti i giorni.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI
