Ha ragione Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, quando dice nella prefazione a questo libro (Peccato che io non sappia volare, Franco Battiato e io, San Paolo, 186 pagine, 18,00 euro) che a Massimo Granieri “non interessa commentare parole e musica di un artista, ma sintonizzare se stesso con una bruciante ispirazione che tocca la riuscita e il senso di una vita: la propria”. E ha ragione anche Cristiano Massimo Parisi (sacerdote passionista, docente universitario) quando nella sua postfazione dice che “Granieri ha elaborato un percorso autobiografico essenziale soffermandosi su alcuni episodi che hanno dato una svolta alla sua vita”.
Abbiamo conosciuto Massimo Granieri (sacerdote passionista, parroco, responsabile della formazione dei docenti di religione cattolica, critico musicale de L’Osservatore romano) attraverso due bei libri (Il vangelo secondo il rock con Luca Miele e Il rock’n’roll con tanta anima) in cui si cimentava nell’esame, in gergo “la critica”, della musica rock, ma già allora, soprattutto nel secondo, in quelle strazianti pagine in cui raccontava la morte del padre, avevamo capito che per lui la definizione di “critico musicale” andava stretta. Banale e limitata.
Con questo libro Granieri porta a maturazione il suo percorso letterario, augurandoci ovviamente che continui a crescere e ci offra sempre in futuro nuove occasioni. Granieri non è un critico, è un autentico scrittore, uno dei migliori in circolazione oggi in Italia.
Certo, si avvale della musica, perché per lui la musica è stata compagna fedele per tutta l’esistenza, sin da quando la madre, di origine inglese, lo portava in grembo ascoltando e quindi facendogli ascoltare gli amati Beatles. Questo libro è una biografia, dolorosa, amara, un pugno nello stomaco del lettore in cui, come dice ancora Spadaro, “non si capisce Franco (Battiato) senza Massimo e non si capisce Massimo senza Franco”.
Per quelle curiose circostanze della vita che, col senno di poi, capiamo essere stati “segni”, “compagnia” predestinata che ci è stata generosamente offerta, la vita di Granieri è riassunta incredibilmente nelle parole del musicista siciliano scomparso. Ogni episodio, anche il più piccolo, trova riferimento in una strofa, un ritornello, un verso delle sue canzoni.
Ognuno di noi, soprattutto quelli della generazione cresciuta negli anni 70, ha un artista che in maniera inesplicabile si è fatto compagno delle nostre esistenze. E’ avvenuto apparentemente per caso, ma più andiamo avanti nella vita e ci sentiamo di dire: “Che fortunato che sono stato ad avere incontrato Bob Dylan (inserite qualunque nome vogliate) quando ero un ragazzino solo, pieno di dubbi esistenziali, di angosce, nascosto nel buio, spaventato e atterrito dalla vita che mi attendeva fuori della mia camera”. Per Granieri questo artista è stato Franco Battiato. Non si tratta di narcisismo, di visionarietà. E’ che gli artisti, almeno i più grandi, semplicemente sono capaci di comunicare ed esprimere quello che ogni essere umano porta nel cuore. Siamo tutti uguali nel nostro desiderio. Ma di artisti come Battiato ne sono rimasti pochi, forse nessuno. Per quello siamo stati fortunati.
“E la sera ritorno con malesseri speciali / non servono tranquillanti o terapie / ci vuole un’altra vita” è quanto l’artista siciliano ha offerto al sacerdote calabrese. Che fortuna: “La musica di Battito mi sostiene nella lotta interiore” è la costante che troveremo sempre. “La vita nelle sue svariate forme è fatica mentre cerchiamo l’infinito”.
Granieri parte d’assalto, senza paure e senza nascondersi dietro la sua veste come fanno invece tanti suo confratelli e proprio come il Battiato sdegnato, offeso, amareggiato di Povera patria, elenca con vigore e con giudizio biblico i mali della sua terra, la Calabria, ma anche quelli della Chiesa, una organizzazione in parte oggi incapace di parlare al prossimo persa nella propria auto referenzialità. Chiese e monasteri in rovina, come quello dove abita con pochi confratelli, dove dal tetto entra l’acqua, dove c’è solitudine e fragilità. Ma Granieri va oltre. Parla di se stesso. Una infanzia e adolescenza terribili nelle mura di una casa odiata e terrorizzante, un padre violento, una madre abusata che ha versato su di lui la rabbia contenuta nelle sue viscere. Si fa fatica a leggere queste pagine. Fino a interrogarsi qual è il significato stesso del venire al mondo, quasi una bestemmia: “La casa è diventata la tua gabbia. Rimane incomprensibile la rassegnazione a una vita poverissima e isolata. Non smetto di tormentarmi, vorrei chiederti ragione delle nostre nascite” chiede alla madre con tono accusatorio.
Ci parla della sua scelta vocazionale e forse comprendiamo finalmente cosa significhi farsi prete fino a essere investito dal dubbio: “Nell’ultimo ventennio ho faticato a rimanere fedele alla vocazione (..) I conventi sono ambienti a chiusura stagna, inaccessibili”.
E’ un lungo cammino quello che troviamo in queste pagine, ci fermiamo qui perché lo possiate scoprire voi stessi. Diciamo solo che Granieri ha avuto degli incontri che gli rivelano la vera natura della sua vocazione: “La riscoperta della castità come dono, io carne benedetta per gli altri che hanno bisogno di vedere, toccare, mangiare il Mistero. Prima intendevo la castità come “distacco” dalla carne e dagli affetti”. Battiato, che a nell’ultima parte della sua vita ha scelto anche lui la castità, l’ha vissuta come una sorta di auto castrazione perché i rapporti umani erano troppo deludenti. Semplicemente non praticava il sesso. Non era un atto di offerta di sé per gli altri. Per Granirei, arriva il momento dopo anni di sacerdozio di vivere la sua castità come è per il cristiano autentico: generare figli attraverso una paternità spirituale, una fecondità universale.
Se questo libro non è una biografia o uno studio su Franco Battiato, permette però di conoscere meglio di quanto abbiano fatto tanti altri libri chi era quest’uomo. Attraverso le intuizioni teologiche, spirituali, umane dell’autore arriviamo a percepire un uomo la cui sete di Dio era implacabile.
Il libro contiene poi anche alcune interviste illuminanti a amici e collaboratori di Battiato come Morgan, Gianni Maroccolo, Giovani Caccamo, il direttore del conservatorio di Cosenza Francesco Perri e la giornalista e scrittrice Noemi Serracini. Anche qui Granieri non va in cerca del dettaglio tecnico o del gossip musicale. Li interroga, per sapere come le loro vite sono cambiate davanti alla figura dell’artista.
Alla fine questo libro rimane aperto, come lo è la vita. Ci sono indizi, percorsi, segni, tanti segni, ma la vita prosegue. Una volta la madre dell’autore gli chiese come mai lui che era un prete scrivesse libri di musica invece di un libro su Gesù. “Lui mi raggiunge per mezzo della musica” risponde Granieri. Ed è l’indicazione più grande che questo sacerdote ci regala.