“Nella terra di nessuno vide decine di corpi riversi, alcuni immobili, altri che si contorcevano negli spasimi. Un soldato si era aggrovigliato sul filo spinato e dava strattoni violenti con una gamba mentre il busto penzolava dall’altra parte: sembrava che i calci fossero l’unica forma di vita rimasta in quel corpo”. Studiare e capire la storia – che non è tanto studio appassionato del passato, quanto chiave di comprensione del presente – attraverso la letteratura può essere perfino più efficace che farlo dalle pagine di un saggio. Ciò che colpisce di una narrazione è anzitutto il sentimento, la ragione viene sempre dopo. Per questo motivo Il pendio dei noci (Mondadori, 2024) di Gianni Oliva – fra gli storici più noti i cui interessi vanno dal fascismo a Dante, dai castelli piemontesi a Verga, dai Savoia agli anni di piombo – è un libro che andrebbe letto anche nei licei. Perché la capacità narrativa dell’autore, fondata su solide basi scientifiche, esplode in questo suo esordio da romanziere grazie al giusto equilibrio fra letteratura e storia, dove l’una e l’altra si compenetrano senza mai prevaricarsi, regalando al lettore 250 pagine in cui naufragare (in senso leopardiano) è dolce e immediato anche grazie ad una trama avvincente che si lega ad una scrittura piana e diretta, senza inutili evoluzioni lessicali.
I critici con la puzza sotto il naso (ce ne sono tanti) possono storcerlo quanto vogliono: libri come questo sono destinati a rimanere nel tempo proprio perché non cedono alle mode né nella scelta dei temi da trattare – qui siamo nel pieno della Grande guerra, che sembra così desueta da trattare in un libro di narrativa – né in quella dello stile, che finalmente rispetta le regole della grammatica e del buon gusto (guardatevi in giro: è quasi un’eccezione).
Storia grande e storia piccola, guerra e amore si intrecciano nelle vicende di due giovani alle prese con destini che chiedono loro più di quanto possono sopportare, sofferenze atroci, rimpianti infiniti, desideri mai del tutto sopiti. “Era l’anno 1898; a Ferragosto Giuliano arrivava ai diciotto anni, lei ne aveva appena fatti diciannove. Poi lui girò lo sguardo distratto verso i fedeli e nello stesso momento Maddalena fece scivolare il suo verso la cappella. Gli occhi si incrociarono senza intenzione. Fu il tempo di un lampo”. Tutto comincia nella chiesa di Coazze, un piccolo paese di montagna, lo stesso dove l’autore piemontese è cresciuto e che, quindi, conosce bene, e tutto nello stesso paese finirà; in mezzo, il lettore vive lo strazio delle trincee e il candore di un amore pulito, la disumanità della Legione Straniera e il profumo intenso dei boschi in un felice rincorrersi di livelli sovrapposti che conferisce ritmo all’azione narrativa.
Oliva ben conosce la geografia e il lessico della Prima guerra mondiale, ma anche le regole di una narrativa coinvolgente che richiama i grandi romanzi storici in cui il colpo di scena attende il lettore dietro ad ogni pagina. Se ne potrebbe trarre la sceneggiatura per un film, non ci fosse il rischio che la storia d’amore fra la bella Maddalena e l’audace Giuliano prenda il sopravvento su tutto il resto, come nelle peggiori fiction.
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