Settant’anni fa veniva presentato in anteprima alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Lo Sceicco Bianco di Federico Fellini, primo autentico film del regista riminese, considerando che l’esordio di Luci del Varietà, girato nell’estate del 1950, venne vissuto solo da spettatore del lavoro di Alberto Lattuada, con il quale Fellini firmò la co-regia.
Fino a quel momento, per circa il decennio precedente, Fellini aveva svolto attività di illustratore a fumetti, scrittore di gag per la radio e poi sceneggiatore, in coppia con l’amico Tullio Pinelli, per registi importanti del panorama di allora, come Rossellini, Pietro Germi e lo stesso Lattuada.
Con Lo Sceicco Bianco, poco più che trentenne e con la scarna esperienza con Lattuada alle spalle, ebbe quindi l’occasione di passare definitivamente alla regia, attività per la quale – vedendo, sui set, il piglio autoritario dei registi con cui collaborava come scrittore – non si sentiva affatto portato. La leggenda, ma anche la cronistoria riportata da diverse fonti attendibili (come l’amico e storico del cinema Tullio Kezich), vuole invece che Federico Fellini diventò quel regista che tutto il mondo conobbe, quell’anima artistica ansiosa di creare che si placa solo nel caos di un set cinematografico, proprio durante il primo ciack de Lo Sceicco Bianco.
Sulla spiaggia di Fregene nel settembre del 1951 cominciava la lavorazione del film. Fellini doveva dirigere una scena con Alberto Sordi (il protagonista, lo Sceicco dei fotoromanzi) e Brunella Bovo (la sposina sua fan) su una barchetta che doveva sembrare in mare aperto. Ricorda il regista che dopo i primi ordini, impacciati e discordi, mossi con fatica come in un incubo, i successivi passi acquistavano vigore e chiarezza, diventavano man mano più sicuri, consapevoli. Come il vero artista, che conosce ancor prima di sapere, Fellini si trovò così a giostrare con naturalezza e capacità tra l’operatore, gli attori, gli altri tecnici, quasi non avesse mai fatto altro che quello nella vita. La grande kermesse del cinema felliniano era partita e non si sarebbe fermata mai più.
La storia del film nacque da un’idea di Michelangelo Antonioni, fissata in un dattiloscritto del 1949 dal titolo Caro Ivan. Il regista ferrarese, volendo realizzarla come suo primo lungometraggio, opzionò il soggetto col produttore Carlo Ponti, il quale chiamò la coppia di sceneggiatori Fellini-Pinelli. I due allora, sull’onda del successo che i fotoromanzi avevano all’epoca (le due testate principali, Bolero Film e Grand Hotel, vendevano oltre due milioni di copie e raggiungevano circa cinque milioni di lettori), proposero di modificare Caro Ivan, già di suo ambientata nel mondo dei giornali e riviste illustrate, nella storia di una sposina che in viaggio di nozze scappa dal marito per andare a conoscere l’eroe dei suoi sogni, l’attore che interpreta lo sceicco bianco, l’aitante protagonista di un fotoromanzo.
Ma ad Antonioni la storia messa così non piacque, non la trovò congeniale alla sua idea di cinema. Così il produttore Luigi Rovere, cha prese in mano il film rilevando l’opzione di Ponti sul soggetto, incoraggiò Fellini ad assumerne anche la regia. Il nostro accettò, timoroso ed entusiasta al tempo stesso, dubbioso principalmente sulla sua capacità di comandare una troupe di svariate persone, ma anche ansioso di visualizzare a suo piacimento personaggi e situazioni della storia immaginata, senza affidarla ad altri.
I due novelli sposi (Leopoldo Tieste e Brunella Bovo) in viaggio di nozze a Roma per l’Anno Santo del 1950 vivono allora la prima avventura favolosa e grottesca del cinema felliniano. Wanda, la sposina, si eclissa dal marito per rincorrere un sogno: vuole incontrare il suo eroe, lo sceicco bianco (Alberto Sordi), protagonista del giornale a fumetti Incanto Blu, al quale ha scritto tante appassionate lettere firmandosi “bambola appassionata”.
Il marito Ivan intanto, dopo averla cercata invano per la città, deve prodigarsi con i parenti in scuse fantasiose perché non sospettino nulla. La notte ancora sta vagando per le strade di Roma quando incontra due prostitute (una interpretata da Giulietta Masina), con le quali si intrattiene solo confidandosi, piangente. Alla fine Wanda, delusa dal suo idolo come dal mondo fittizio e cialtrone che lo circonda, torna dal marito. Il film si conclude in Piazza San Pietro, dove gli sposini novelli si recano in udienza collettiva dal Papa con altre numerose coppie.
Attraverso questa vicenda a tratti stralunata, di piccoli borghesi provinciali che scoprono la fantasmagorica quanto falsa fabbrica dei sogni, Fellini inaugura quella propensione al fantastico, condita da elementi autobiografici e da avanspettacolo, che sarà la cifra costante del suo cinema. Da notare l’interpretazione di Alberto Sordi, infantile e audace seduttore con le fan e poi incapace di dignità con la moglie, di cui è succube.
Nel ricordare oggi Lo Sceicco Bianco, lo rubrichiamo come il primo della lunga e fortunata serie di sogni ad occhi aperti, poetici e popolari, di cui si compone la filmografia di colui il cui nome, per gli americani e non solo, è sinonimo stesso di regista cinematografico: in arte come nella vita sempre e solo Federico Fellini.
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