Il film "Locked - In trappola" funziona bene e risulta anche più interessante degli altri facili pop-corn movie dell'estate

Nel film Locked – In trappola, Eddie (Bill Skarsgård) è un giovane e inaffidabile padre di famiglia, incapace di soddisfare i bisogni della figlia (che dimentica spesso di andare a prendere a scuola), e allontanato dalla compagna che ha ormai perso ogni aspettativa nei suoi confronti. Eddie è un piccolo delinquente di strada, abituato a vivere di espedienti, furterelli, lavori occasionali, che non gli rendono abbastanza nemmeno per ripianare i suoi debiti contratti con la malavita locale.



Un giorno si intrufola nel ricco (e blindato) SUV lasciato aperto in un parcheggio, in cerca di qualcosa da rubare. Rimarrà prigioniero, rinchiuso per vendetta dal sadico proprietario (Anthony Hopkins).

Per un’ora e mezzo siamo chiusi in auto con Bill Skarsgård, figlio d’arte del più noto Stellan, attore svedese di pregio internazionale. Bill, nella sua già lunga carriera, ha incarnato l’iconico pagliaccio di Stephen King, nel remake di IT (uno e due). La sua carriera è tutta lì, tra horror, film d’azione e thriller commerciali, abbelliti dalla sua presenza dark, scolpita e tatuata.



Locked, sulla carta, sembrava occhieggiare a Locke, con Tom Hardy, tra i film claustrofobici più riusciti degli ultimi anni. Nel tempo, al cinema, di simile, abbiamo visto esperimenti di prigionia in bare sotterrate, stanze fantasma, labirinti misteriosi, cabine telefoniche, cubi confinanti, canyon profondissimi, gelidi crepacci, capsule criogeniche e molto altro. È diventato un genere nel genere, quello che ci soffoca nel chiuso angoscioso di uno spazio ristretto, che qualcuno chiama con vivida immaginazione “bottle movie”.

Locked, diretto dal semisconosciuto David Yarovesky, fa il suo dovere di thriller di fine estate, impreziosito dall’inquietante voce di Anthony Hopkins, che compare fisicamente solo a fine film, insieme al ricco repertorio delle sue malefiche espressioni.



L’auto diventa, dopo pochi minuti di film, una trappola mortale, ferma a un parcheggio, isolata dall’esterno, pronta a sfoderare a comando dell’anziano carnefice ogni possibile arma non convenzionale: dal freddo polare al caldo desertico sprigionato dal condizionatore, dal tazer che stordisce il prigioniero fino alla musica alta e ridondante che lo rintrona.

L’auto – curiosità – è una Dolus, marchio di fantasia che rimanda al termine latino di “inganno” che è poi la trappola tesa al povero Bill. Un’auto modificata, ricavata da una Land Rover Defender, disponibile per un finto noleggio su un sito dedicato, strumento di promozione del film e già inserita in un museo dell’auto in Illinois.

I meccanismi del thriller di Locked funzionano bene. Tra paura, tensione e disgusto, seguiamo le sadiche torture che impattano sulla vita già disagiata del giovane protagonista, chiuso nel punitivo abitacolo infernale. Un balordo irresponsabile tossicodipendente sfasciafamiglia che si trasforma facilmente in vittima designata con cui empatizzare.

Dietro alla ferocia di Hopkins c’è la vendetta, in perfetto stile giustiziere. Difende il mondo dall’ingiustizia, dalla delinquenza, dall’aggressività, dalla feccia della società. Difende il mondo dal degrado, dai colpevoli non condannati, dalla giustizia che non funziona, dall’ingiustizia di un mondo al contrario.

Niente di più attuale, niente di più auspicabile, niente di più eroico, secondo la visione populista di chi guarda solo agli effetti e non alle cause che spingono l’umanità disperata a sopravvivere a suo modo. Ed è proprio questo che rende il film un po’ più interessante degli altri facili pop-corn movie dell’estate.

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