Una vita, quella della ventiduenne Luana D’Orazio, spezza l’ingannevole dibattito a cui è stato inchiodato quest’anno il primo maggio italiano. Nei giorni in cui si ricorda la festa del lavoro, la giovane donna ha perso la vita a Montemurlo – vicino a Prato – proprio mentre svolgeva il suo, divorata da un macchinario in uso nell’industria tessile.
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E dinnanzi al figlio piccolino di Luana, rimasto senza mamma, quello che l’umanità cerca non è una sterile diatriba sui diritti, e neppure una furiosa condanna di un colpevole da individuare per chiedere più garanzie e tutele, quasi che potesse esistere un sistema perfetto che impedisca quello che sembra essere, di primo acchito, un incidente.
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L’umanità non va cercando interventi legislativi o regolamenti di conti, ma è assetata di senso, di domande, di perché. Perché si può morire così? Che senso ha vivere? Che cosa significa lavorare?
È più di un anno che tutto sembra congiurare affinché non ci si pongano più le questioni decisive dell’esistenza. Ogni giorno ci è fornita una guerra affinché non riemergano quesiti e interrogativi che invece sarebbero necessari per leggere – e vivere – questo tempo nuovo: contagi, morti, vaccini, piani. In mezzo a roboanti parole, e rivoluzionari appelli, nessuno sembra più avere una parola per il dolore. Per il nostro, per quello di tutti coloro che sono discriminati, per quello del bimbo di Luana.
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Quando siamo diventati incapaci di parlare alla vita, ci siamo sentiti in dovere di alzare la voce: non avendo più parole per il nostro cuore, ci siamo rivolti al cielo. E quando il cielo sembrava non ascoltarci, abbiamo smosso gli inferi. L’esistenza non aspetta discorsi, concertoni, inchieste: l’esistenza attende abbracci, ascolto, comprensione. Per che cosa vale la pena vivere? Per che cosa si può morire? Nel tempo delle polemiche e dei social, ancora una volta è il Caligola di Camus ad indicarci il nocciolo della questione e a convocarci per affrontarla, per rendere davvero omaggio e dignità alla morte di Luana e di tutti gli altri dimenticati: “Gli uomini – infatti – muoiono e non sono felici”.
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