La Legge di bilancio interviene anche sul lavoro, ma per una ripresa dei salari occorre agire sulla leva fiscale
Nella Legge di bilancio 2026 trovano spazio alcune misure dedicate al lavoro. In qualche modo è la prima applicazione di parti della delega sui salari appena approvata. Come si ricorderà, la vicenda è stata innescata dalla proposta sul salario minimo presentata da forze dell’opposizione. Dopo un’analisi della rappresentatività della contrattazione svolta dal Cnel, il Governo ha rivisto la proposta facendola diventare una delega riferita a molti aspetti dei rapporti di lavoro e vincolando i valori minimi salariali ai contratti più utilizzati nei settori.
Non si tratta più di un valore numerico di salario minimo per ora di lavoro, ma di salario comprensivo di tutti gli addendum previsto dai contratti. Con i contratti più in uso si cerca di aggirare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali creando problemi proprio nei settori dove attraverso rappresentanze, diciamo di comodo, si aggirano sia i minimi salariali sia le tutele del lavoro.
Le misure prese in considerazione per la Legge di bilancio, finanziate con due miliardi, cercano di aggredire la perdita di valore reale dei salari. La misura principale che è stata presentata è una flat tax relativa agli aumenti salariali previsti con i rinnovi contrattuali (anche di quest’anno) nelle imprese private. Altra misura sarebbe il raddoppio della quota di fringe benefit esentasse. Passerebbe da duemila a quattromila euro per i lavoratori con figli e da mille a duemila euro per quelli senza.
Si valuta anche se inserire fin da ora la misura di tutela dei salari in caso di mancato rinnovo contrattuale. La proposta è di applicare la variazione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato (Ipca) fino al 5%. Ultima proposta avanzata dal ministero del Lavoro è di applicare una tassazione del 10% alla quota di salario per straordinari, lavoro festivo o notturno per i lavoratori con reddito fino a 25mila euro e con un tetto dei benefici fissato a tre mila euro anno.
C’è poi un’ultima questione legata al settore lavoro anche se interessa quanti vogliono uscire dal mercato del lavoro. È la proposta di non applicare per tutti l’allungamento della vita lavorativa di tre mesi come previsto dalle norme attuali che calcolano l’allungarsi della speranza di vita e adeguano l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico. Essendo proposta da un partito della maggioranza sarà applicata con vincoli e tagli per poter dire che si è fatto, ma con il minore impatto possibile sui conti.
Tutte le proposte, anche se con probabilità di essere accettate diverse, saranno vagliate ed eventualmente modificate durante l’iter parlamentare, alla luce della compatibilità con l’equilibrio dei conti pubblici e con i vincoli della normativa europea. In ogni caso l’indirizzo dato dal Governo alla questione salariale si delinea con una certa chiarezza.
È certamente importante che il tema salari assuma una sua buona rilevanza nella discussione del bilancio. Assieme al previsto taglio di due/tre punti della pressione fiscale sui redditi intermedi si cerca di ovviare alla stangata data l’anno prima. Sì, perché ritardi di rinnovi contrattuali e assenza di interventi per bloccare gli effetti del fiscal drag hanno pesato su quella parte di lavoratori che contribuiscono a pagare la maggiore quota delle entrate fiscali dello Stato.
Con la tassazione agevolata sugli aumenti contrattuali si cerca di segnalare che la attenzione per la tutela dei salari è cambiata. La scelta di farlo solo dal prossimo anno in avanti non risponde a quanti hanno subito il fiscal drag nel periodo passato e inoltre introduce un modello fiscale che può avere un impatto negativo su un sistema già oggi molto squilibrato. In fondo le misure annunciate a cavallo del bilancio indicano i grandi problemi del nostro sistema fiscale. ma senza avanzare una proposta di riforma complessiva.
Si finanzia il taglio di pochi punti Irpef sulla fascia centrale dei contribuenti. Si interviene poi con diverse misure per detassare gli incrementi dei salari. Interventi peraltro non universali in quanto hanno effetti diversi fra dipendenti pubblici e privati e fra chi avrà rinnovi contrattuali e chi l’ha appena avuto. Si cerca poi attraverso un accordo fiscale di ottenere un contributo maggiore (straordinario?) dal mondo della finanza, banche e assicurazioni.
Il quadro che si delinea con queste scelte ci indica che è la cornice che non tiene più. Il nostro sistema fiscale pesa enormemente sul lavoro dipendente e su categorie autonome che sono tenute a fatturare tutto. Ma da quando questo sistema è stato disegnato sono cambiati gli equilibri delle fonti di reddito con il risultato che oggi sulla quota di contribuenti che non possono sfuggire al fisco pesa una tassazione che diventa sempre meno accettabile. Nello stesso tempo aliquote di favore spostano verso settori speculativi risorse e profitti che sfuggono a un’equa tassazione.
Con interventi parziali, che pure cercano di correggere anomalie troppo accentuate, non si affronta il problema ormai ineludibile di come far partecipare maggiormente settori economici che sfuggono dal contribuire equamente al sistema fiscale.
Lasciamo pure da parte l’ottusa battaglia per rivedere in peggio il sistema pensionistico, da cui deriverebbero i danni maggiori per la nostra sostenibilità economica futura, ma anche l’ennesima rottamazione a favore di chi non paga il dovuto corrisponde a un sistema che premia patrimoni e rendite contro il lavoro. Questa maggioranza, ricordiamo, si era presentata dicendo l’esatto contrario.
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