Massimo Milone (1955-2023), fratello e giornalista, faro Rai per 20 anni. Amico, cattolico. Il suo ricordo vive nel premio a lui dedicato

Massimo è un fratello. Lo è ancora, sebbene risieda in un’altra porzione di universo. Un dono della Provvidenza, quando decide di premiare qualcuno. Non so dire con esattezza da quanto tempo ci conosciamo. Posso affermare, però, che non ricordo un istante della mia vita professionale in cui lui non ci sia stato.

Sì, non abbiamo giocato insieme sui campi di calcetto da bambini, né da ragazzi abbiamo diviso il banco della scuola. La nostra amicizia nasce tra l’inchiostro e le onde radio del giornalismo, mestiere (più che professione) che abbiamo amato moltissimo e dal quale siamo stati talvolta ricambiati.



Essendo di qualche anno più grande di me, quando mi sono affacciato sul palcoscenico delle notizie, Massimo era già lì. Con la mano tesa. Privo della supponenza di chi, avendo occupato una posizione, guarda dall’alto in basso e con fastidio gli ultimi arrivati. Legare con lui è stato facile. Di più, naturale.

So di condividere il privilegio di un rapporto intenso con tantissime persone, molte delle quali si ritroveranno stasera all’Auditorium della Rai di Napoli per celebrare il premio in suo nome, istituito dalla moglie Barbara con i figli Andrea e Alessandro. Massimo c’è per tutti. E, infatti, non si è mai negato a nessuno.



Per vent’anni filati – dal 2003 al 2023 – è stato un faro dell’informazione: i primi dieci come responsabile del TgR della Campania, i secondi come direttore di Rai Vaticano. Cattolico praticante, è un punto di riferimento per chiunque abbia bisogno di un consiglio o di un conforto.

Ero sul treno con lui nell’andare a Roma la mattina del 12 febbraio 2013, quando il mondo fu sorpreso dalle dimissioni di papa Ratzinger, Benedetto XVI. Stava per prendere servizio nel nuovo e prestigioso incarico e la cosa lo turbò. Di lì a poco avrebbe conosciuto il successore Bergoglio, Francesco I.



Il rapporto tra i due fu subito di grande cordialità, mutata presto in stima e affetto. E ha dato bellissimi frutti. Come il libro sulla rivoluzione comunicativa che il nuovo Pontefice portava in Vaticano, o il racconto da vicino della prima decade del suo mandato. Di recente si saranno pure abbracciati.

Massimo e io continuiamo a scherzare sul fatto che siamo entrambi troppo ingenui. Nonostante gli insegnamenti della vita, facciamo fatica a sottrarci alla richiesta di questo o quell’intervento, di questa o quella presenza, di questo o quell’aiutino. Finendo, il più delle volte, col restare delusi della disponibilità accordata.

È evidente che abbiamo ancora molto da imparare dalla vita, anche se a una certa età è difficile mutare l’orientamento del carattere. Ma correggerlo sì, e ci impegneremo a farlo. Abbiamo sperimentato entrambi come prontamente cambi la frequenza degli squilli del telefono a seconda della fortuna del momento.

Comunque, non possiamo lamentarci. Abbiamo avuto le nostre soddisfazioni, qualcosa nel lavoro siamo riusciti a combinare, la famiglia ci ha regalato la gioia di una discendenza che ci rende orgogliosi. E forse questo è il regalo più bello che potevamo ricevere da chi ci osserva non visto.

Tra i due, io continuo ad arrivare per secondo. Come sempre, Massimo vuole fare da apripista. E prepara con coscienza il terreno per chi lo seguirà nel lungo viaggio che ci tocca d’intraprendere. So già che ti ritroverò – il più tardi possibile, non ti offendere – ancora una volta con la mano tesa a farmi da guida.

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