Al Meeting di Rimini la Meloni ha fatto un discorso a tutto campo, dal piano casa alle riforme, fino ai “mattoni” con cui costruire l’Occidente

Per presentare un discorso che è stato quasi un “manifesto” per la seconda parte del suo mandato, Giorgia Meloni ha scelto, con una toccata e fuga senza visitare la Fiera, la platea del Meeting di Rimini, 5mila persone nell’auditorium della fiera, platea sin dall’inizio amica, a giudicare dal calorosissimo applauso d’accoglienza (che l’ha commossa, si intravedeva e l’ha detto), al termine di 58 minuti di discorso, utilizzati per dirne parecchie, di cose, alcune anche più nuove o più nette di quanto ci si potesse aspettare.



La presidente del Consiglio ha rivendicato innanzitutto la sua linea “post-draghiana”: in Europa tutta la vita, ma cambiandola profondamente. In che modo ci si possa riuscire, a cambiarla, pur continuando a sostenere l’attuale precario equilibrio della Commissione Ursula 2… questo non l’ha specificato: ma sicuramente “costruendo con mattoni nuovi”, ha detto, parafrasando varie volte il titolo del Meeting:



“Costruire con mattoni nuovi in Europa significa soprattutto ripartire dalla Politica, che è visione, passione, conflitto e sintesi, partecipazione e democrazia. Significa ridurre la burocrazia soverchiante, significa sostenere la competitività delle imprese per combattere la desertificazione produttiva. Significa rimettere l’Uomo, e non l’ideologia, al centro della natura. Significa investire sulle proprie filiere per ridurre le troppe dipendenze strategiche che abbiamo”.

Dato all’Europa lo spazio indispensabile – cogliendo anche l’occasione per rimarcare il recuperato prestigio internazionale dell’Italia; e ribadito il totale sostegno alla battaglia dell’Ucraina contro l’invasione russa e l’appello alla pace in Medio Oriente, la Meloni è tornata alle voci dell’agenda che più delle altre stanno davvero sulla sua scrivania.



Ovvero il governo del Paese con le magre risorse possibili, le priorità (il piano casa per i giovani, ringraziandone il vicepremier Matteo Salvini, unico politico citato per nome oltre a Maurizio Lupi, che sedeva in prima fila), i sostegni alla famiglia e alla genitorialità (applausi), alla scuola veramente paritaria che ancora manca in Italia (applausi), alle infrastrutture, fatte e da fare, alla sussidiarietà come metodo, all’ordine pubblico (citando il bell’esempio di Caivano), al lavoro che nasce dallo sviluppo (quasi 1 milione di posti in più in tre anni) e non dai sussidi (citando il prossimo santo Piergiorgio Frassati che del creare lavoro faceva una missione).

Passaggi coerenti tra loro e complementari alle attese della sala, ma rivolti anche a una platea virtuale, molto più vasta, l’elettorato di centrodestra di oggi e di domani, che ha evidentemente bisogno di rafforzarsi nella sua identità e che Giorgia Meloni vuole interfacciare da protagonista.

Ed è stata questa, forse, la “cifra” più interessante e nuova della performance meloniana… Perché la premier ha posto l’accento sui valori dell’Occidente, quelli che oggettivamente non sono mai stati così tanto bersagliati dalle cronache mondiali, prima ancora che da questo o quel leader avversario.

Ed è questo suo porsi a portabandiera di valori italiani sì, ma ben più che italiani, che è sembrato a molti aver posto sotto i piedi della Meloni dei “mattoni virtuali”, capaci di elevarne la posta, come se in qualche modo lei desiderasse proporsi per una leadership più ampia.

Fin dalla premessa: “Essere conservatori non vuol dire costruire con mattoni vecchi, significa cercare sempre mattoni nuovi per continuare a edificare una casa che non hai iniziato tu. Significa amare le linfe di una storia che altri hanno avviato, desiderare che grazie al tuo contributo quella storia produca frutti sempre più abbondanti”.

Chiaro? Conservatorismo come strada autentica per un progresso solido, stabile. E qui, il colpo di reni: “E la nostra casa, a cui aggiungere mattoni nuovi, è l’Occidente. Non – come ho detto diverse volte – un luogo fisico, ma un sistema di valori nato tra l’incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanismo cristiano. Sintesi che ha fertilizzato il terreno dove è cresciuta la separazione tra Stato e Chiesa, dove gli uomini nascono uguali e liberi, dove la vita è sacra e la cura per i più fragili è un valore assoluto”.

In questa luce tutto assume ovviamente maggior peso. Maggiore rilevanza strategica. Per esempio, le riforme-cardine del programma; il premierato, su cui si procede ben sapendo che i referendum saranno uno scoglio; l’autonomia differenziata, su cui si direbbe neanche si proceda, ma la premier ne ha riparlato.

Per esempio la politica sull’immigrazione, con lo sbarramento severo a quella illegale e una riorganizzazione positiva di quella legale ma anche, col Piano Mattei, una strategia sia pure graduale per creare nuove premesse di sviluppo autoctono nei Paesi che oggi subiscono la maggiore emorragia di migranti verso l’Ovest.

Ed è stato proprio partendo dall’accenno all’immigrazione che Meloni ha fatto il riferimento alla riforma più spinosa, anche perché diversamente dalle altre effettivamente in corso: la riforma della giustizia. Scagliando con imprevista forza una vera mattonata sulla magistratura: “Voglio dire con chiarezza – ha scandito la premier – che ogni tentativo che verrà fatto di impedirci di governare questo fenomeno con serietà e determinazione sarà rispedito al mittente.

Non c’è giudice (e qui ha aggiunto a braccio: “una minoranza di giudici politicizzati”), politico o burocrate che possa impedirci di far rispettare la legge dello Stato italiano, di garantire la sicurezza dei nostri cittadini, di combattere gli schiavisti del terzo millennio, di salvare vite umane”.

E dopo una chiusa sempre più “motivazionale”, in cui ha largamente citato sia il fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani, sia il poeta Thomas Stearns Eliot, un cui verso è stato scelto come titolo di questo Meeting (appunto “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”), Giorgia Meloni ha concluso con una sua frase a effetto di sintesi, inclusiva e prospettica: “Dunque, ciascuno prenda il suo cemento e i suoi mattoni. Perché è ora di costruire insieme”.

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