Le parole dell’assessore alla Famiglia della Regione Lombardia, Cristina Cantù, rimettono in discussione il sistema dei voucher introdotti da Roberto Formigoni. Poi Raffaele Cattaneo interviene a gettare acqua sul fuoco, assicurando che Maroni gli ha promesso che i voucher non saranno toccati. Giovedì la Cantù aveva invece affermato: “Non si tratta in modo generalizzato di dare risorse in mano all’utente e far sì che questo si muova nel mercato. Ma di accompagnarlo nel percorso di scelta in un contesto di complessità e di diversificazione degli interventi”. Ilsussidiario.net ha intervistato Oscar Giannino.
Che cosa ne pensa, quella di Maroni sarà una Lombardia più statalista?
L’architettura delle scelte di fondo su come l’offerta dei servizi nella Regione Lombardia contemperava la libertà di scelta da parte delle famiglie dei pazienti e degli studenti, era un sentiero che si era aperto nel nostro Paese. Comparando i tassi di efficienza a parità di spesa, nell’offerta dei servizi pubblici del nostro Paese rispetto ad altri Paesi avanzati, la convinzione è che spesso le amministrazioni pubbliche italiane non siano affatto più efficienti di quanto lo siano le strutture private finanziate attraverso i voucher.
Qual è il valore dei voucher che Maroni vuole andare ad abolire?
L’apertura avvenuta in Regione Lombardia verso i voucher aveva una duplice caratteristica positiva. La prima consisteva nell’aprire questo strumento, nella sua effettualità, come modello per tutta Italia. Si tratta di una scelta molto innovativa, perché consentiva di difendere a ragion veduta la fruizione di servizi pubblici secondo elevati standard, ma contemporaneamente affidando la scelta della spesa delle risorse pubbliche ai beneficiari. In secondo luogo, la mia speranza era che il voucher si diffondesse ulteriormente in altri settori dell’offerta di servizi pubblici, a cominciare da Regione Lombardia.
Insomma si trattava di una novità non ancora sviluppata fino in fondo?
Sì, anche se il Pirellone si era messo in questo modo “un palmo più avanti” nella sua modalità di concepire l’offerta di servizi pubblici. Diventava quindi un distintivo di eccellenza, non soltanto per i risultati dal punto di vista del bilancio della sanità, ma anche dal punto di vista della modalità dell’articolazione dell’offerta. Oggi la propensione che è sembrata emergere a fronte dei vincoli di bilancio è quella di porre termine alla modalità dei voucher e della scelta. Sarebbe però una prospettiva miope, perché farebbe venire meno una strada praticata finora con ottimi risultati, chiudendo la porta a un dibattito che invece va aperto ed esteso in tutta Italia. Inoltre in questo modo si riduce l’eccezionalità virtuosa di Regione Lombardia, proprio in quanto i vincoli di bilancio sono molto stretti. Ma ritengo che sia un errore utilizzare questi ultimi per chiudere una finestra di libertà che si era aperta.
Il voucher è una spesa aggiuntiva o fa risparmiare?
La vera questione del voucher non è economica. Il fatto è che il programmatore centrale preferisce sempre decidere lui l’allocazione delle risorse, piuttosto che stabilire degli ammontare dei finanziamenti e lasciare poi libera scelta a chi fruisce dei servizi. La “presunzione” del programmatore pubblico dirigista esclude la libera valutazione da parte del cittadino, si tratti di un servizio scolastico, sanitario o di una famiglia che decide di iscrivere il figlio a una scuola paritaria, oppure di un paziente che decide di giocarsi la sua dote sanitaria in una struttura pubblica o in una che invece è convenzionata. E’ questo il punto di fondo, e cioè che in un quadro finanziario che diventa restrittivo si dice: “Stabiliamo noi a chi dare le risorse”. Ciò è sbagliato perché fa diminuire il tasso di efficienza marginale, e parte dalla presunzione che chi predispone il bilancio pubblico sappia stabilire meglio quali sono i servizi più efficienti.
(Pietro Vernizzi)