Il Maestro Mogol si racconta a pochi giorni dal Premio Tenco, prestigioso riconoscimento che lo stesso ritirerà a coronamento dei suoi 60 anni e oltre di carriera. Il giorno prefissato sarà il 23 ottobre prossimo, quando l’autore da oltre 523 milioni di copie vendute si recherà presso lo storico Ariston di Sanremo, ricevendo il premio in occasione della quarantaquattresima edizione della rassegna dedicata alla canzone d’autore. “Mette fine a un isolamento culturale da parte nostra – spiegano gli organizzatori del grande evento – a un sotterraneo ostracismo. Siamo felici di dedicarglielo soprattutto per il lavoro svolto nel sodalizio Mogol-Battisti che tanto ha influenzato i gusti degli ascoltatori italiani”. “Per me lo steccato che divide la canzone pop e quella cosiddetta impegnata non ha mai avuto senso”, replica Giulio Rapetti, vero nome di Mogol, oggi 85enne.
Ora la cosa è superata ma negli addietro questa distinzione ha pesato: “Negli anni a cavallo tra la fine dei ’60 e i primi ’70 c’era un’infiammazione psicologica – racconta Mogol – una follia collettiva totale: se non facevi canzoni impegnate politicamente come ‘Contessa’ e se non cantavi ‘Bella ciao’ eri considerato un fascista. Lo dicevano naturalmente anche di me, che invece ero figlio di un antifascista. Il clima era pesante. Fecero piangere De Gregori facendogli un vero e proprio processo al Palalido di Milano, accusandolo di essere diventato uno sporco miliardario: quante stupidaggini. È un bene, ora, che ammettano di essersi rinchiusi in un ghetto”. Fortunatamente Battisti se ne è sempre infischiato di tali polemiche: “A lui non è mai interessato niente di tutta quella roba. Della politica, dico. E questa fu la sua colpa. La nostra colpa. Non era consentito essere neutrali. Però poi nel covo delle Brigate Rosse trovarono tutta la collezione di Battisti-Mogol. Erano fascisti anche loro, allora”.
MOGOL: “MI DICEVANO CHE ERO CONTRO LE FEMMINISTE, SU EMOZIONI…”
Il giornalista fa quindi notare come vi sia stato in ogni caso anche un Mogol impegnato, come ad esempio quanto fatto con il brano “Ma è un canto brasileiro”, in favore delle donne: “Sarebbe stato intellettualmente onesto farlo, da parte di quel mondo. Però le condanne nei nostri confronti erano state già emesse. E poi le femministe ce l’avevano con me per il testo de ‘Il tempo di morire’, uscita tre anni prima, nel 1970. Mi accusarono di essere un maschilista retrogrado. Ma io stavo raccontando una storia, mica parlavo di me. Si scatenarono. Mi permetta di dire una cosa, non considerare impegnata una canzone come ‘Emozioni’ mi sembra una cosa da scemi”.
Secondo Mogol il problema è che si associa sempre il concetto di impegno a quello politico: “Per me c’è un solo metro di giudizio, per valutare le canzoni: le divido tra belle e brutte, tra quelle che hanno un valore poetico e quelle che, invece, non lo hanno”. Quindi Mogol ha lanciato un messaggio agli organizzatori del Tenco: “Se intendono premiarmi, non devono farlo solo per via del sodalizio con Lucio, ma per tutte le cose che ho fatto nella mia carriera. La canzone che ha venduto di più in assoluto – ricorda – tra quelle che ho scritto, è ‘L’emozione non ha voce’, cantata da Celentano. Con ‘Se stiamo insieme’, Cocciante ha pure vinto un Festival di Sanremo. E vogliamo parlare dei successi di Mango? Sarebbe un’ignorantata premiarmi solo per il lavoro con Battisti”.