Sono 30.601 i casi di morbillo in Europa e Asia centrale tra gennaio e il 5 dicembre 2023, rispetto ai 909 del 2022. Un aumento incredibile del 3.266%, come rende noto l’Unicef, che chiede urgenti misure di salute pubblica per contrastarne gli effetti. Il numero più alto di casi è stato rilevato in Kazakistan con 69 contagi per 100.000 abitanti, pari a 13.254 casi. Secondo quanto riportato nel report, il Kirghizistan è al secondo posto per numero di casi di morbillo, con 58 ogni 100.000 abitanti, pari a 3.811 casi. Caos anche in Romania, che ha annunciato la scorsa settimana un’epidemia nazionale di morbillo: il tasso nella Nazione di Bucarest è di 9,6 casi per 100.000 abitanti (1.855 casi).
Come viene ben spiegato nel report, sono 931.000 i bambini in Europa e Asia Centrale che non hanno ricevuto interamente o parzialmente i vaccini di routine fra il 2019 e il 2021. Il tasso di vaccinazione della prima dose contro il morbillo ha vissuto un calo dal 96% nel 2019 al 93% nel 2022. Uno scenario, quello vaccinale, che dunque contribuisce a rendere ancora più drammatica la situazione dei contagi.
Aumento dei casi di morbillo: “Malattia pericolosa e mortale”
Regina De Dominicis, Direttrice regionale dell’UNICEF per l’Europa e l’Asia centrale, ha spiegato: “Non c’è segno più evidente del crollo della copertura vaccinale che un aumento dei casi di morbillo. Un aumento così marcato richiede un’attenzione urgente e misure di salute pubblica per proteggere i bambini da questa malattia pericolosa e mortale“. Come sottolineato dall’esperta “il morbillo ha un effetto devastante sulla salute di un bambino, talvolta con conseguenze letali. Provoca un indebolimento duraturo del sistema immunitario dei bambini, rendendoli più vulnerabili ad altre malattie infettive, tra cui la polmonite”.
L’incremento dei casi di morbillo è legato alla diminuzione della copertura vaccinale. La responsabilità della diminuzione nelle vaccinazioni, invece, è da attribuire alla disinformazione e dalla sfiducia, peggiorate dopo la pandemia da Covid come spiegato dall’UNICEF, che lavora con i governi, la Gavi (l’Alleanza per i vaccini), l’OMS e altri partner “per generare dati, identificare i bambini a dose zero e le comunità mancanti, comprendere le cause principali del ritardo dal punto di vista della domanda e dell’offerta e valutare le cause e i fattori di rischio specifici del contesto”.