Nero dominante è la tonalità oggi impressa indelebilmente nelle vite di chi in questo mondo non ha forza, animo o vie privilegiate per emergere o la scaltrezza di dissimulare. Cos’è la luce oggi (ammesso che esista o se ne possa anche solo parlare)? Merce talmente rara da essere ridotta a pura evasione estetica, al massimo propagandata come idea più o meno scaltra di bene da abili manovratori di interessi inconfessati o confessati con la destrezza dei grandi manipolatori.
In questo scenario e in questa parte di mondo il nome di Monica P – giovane e determinata cantautrice torinese – merita l’attenzione che si conviene a chi prende atto di un buio che avanza tumultuoso e impietoso rimettendo in circolo quel duro e infaticabile lavoro del cuore, quell’oscuro e sottaciuto lavoro di dissodamento che appare misero e inutile agli occhi del mondo, ma prezioso a chi ha imboccato con coraggio la rotta scomoda e accidentata per andare oltre le apparenze.
Espressa e cresciuta da quel mondo musicale alternativo sputato dal grunge, masticato dall’era noise e assimilato dal punk, debutta nel 2011 con “A Volte Capita”, disco che riassume porzioni di queste esperienze all’insegna di un’immediatezza che traduce le intenzioni in canzoni brevi contrassegnate dal marchio della ribellione opportunamente rivista e contestualizzata. Momenti interessanti alternati a routine, tra cover e germi di intuizioni che offrono una prima visuale di un talento che alla luce dei recenti trascorsi sembra destinato all’onore delle cose grandi.
Arriva così alla fine del gennaio scorso con “Tutto Brucia” un lavoro più ampio, risoluto e completo che svela una scorza d’artista che sembra emersa di schianto con la forza di un suadente imprevisto o di un segreto a lungo tenuto in caldo da un creatore sornione e ironico. La sorprendente crescita di scrittura e di visione di Monica trova la compagnia provvidenziale e sicura di eccellenti e navigati traghettatori che sanno ancora rendere la musica rock esperienza di condivisione unica. Incontro di carne, sangue e anime per il quale vale la pena mettere sul piatto momenti centrali dell’esistenza.
La produzione di Antonio Gramentieri e Franco Naddei, i suoni del mago JD Foster, gli arrangiamenti dei Sacri Cuori, gli interventi di lusso di Hugo Race (ex Bad Seeds), Giovanni Ferrario e Vicky Brown contribuiscono ognuno da par suo a confezionare l’abito sonoro di un bel disco che sposa atmosfere lente, oscure, a tratti morbose a vari e inattesi germogli di melodia ad alta risoluzione. Disarmonie e armonie si compenetrano ingaggiando un confronto serrato in campo aperto.
Dalla trenodia urbana nera e ossessiva di Come un cane (singolo e duetto con Hugo Race), il lavoro si apre a diverse influenze e suggestioni come una Lucida che unisce un tipico giro ipnotico a sentori retrò-decadenti alla Matia Bazar, una Ridotta all’osso che percuote con la forza efferata di un chorus battente ed efficacissimo e una title track che con la ricorrente linea melodica sintetizza al meglio il desiderio quasi disperato di essere visitati da una luce nuova (o forse dimenticata) nella selva infernale di una realtà folle e distorta.
In chiusura del disco non manca neppure l’ironia quasi scanzonata e punkettara di Mai più, mentre il pregevole melange sonoro di Lasciami entrare riassume la buona ispirazione del disco e l’alta perizia dei contributi esterni con un innesto di atmosfere elettro-noise su armonie liquide che pescano nella west coast di fine anni ’60. La voce mediamente graffiata della nostra raggiunge qui un grande culmine espressivo sposando la musica ad un canto largo e sorridente che sa di redenzione.
Una bella prova che lascia il buon sapore delle cose fatte con passione, troppo spesso dimenticate nella confusione della grande rincorsa al successo pre-confezionato oggi in voga. E che lascia una più che legittima curiosità circa il percorso di crescita che l’ha propiziata.
“Tutto Brucia” segna un balzo notevole nella qualità di scrittura delle canzoni. Si sente una varietà di stili e influenze aumentata in maniera esponenziale rispetto all’esordio di tre anni fa. Tutto questo è il risultato di un periodo creativo particolarmente intenso oppure è frutto di un processo già in atto fin dal disco d’esordio? Avevi già in mente una svolta in questo senso, a livello più o meno consapevole?
Credo che la scrittura di questo disco sia il risultato di un mio processo interiore iniziato molto più di tre anni fa. Ho cercato molto dentro di me, mi sono lasciata più andare, ho avuto meno paura di mettermi a nudo, di piacere oppure no, insomma ho lasciato che le miei emozioni, compreso quelle più fragili, si esprimessero senza vergogna. Musicalmente ci sono tratti che ho cercato di mantenere del mio modo di comporre: quei riff di chitarra su cui solitamente costruisco le strofe e che in Tutto Brucia sono diventati ancora più ipnotici, quel po’ di elettronica che ho sempre trovato interessante accostata al cantautorato, le sonorità scure, gli arrangiamenti che non sono affatto “all’italiana”. Di certo attraversare momenti intensi, anche difficili, è sempre un’occasione di crescita anche compositiva, se non si ha timore di esporsi. Quando ho cominciato a scrivere questo disco non sapevo ancora esattamente in che direzione stessi andando, ma avevo ben chiari in testa alcuni suoni e stili, sapevo che avrei desiderato un disco più “intimo” e minimale sotto certi aspetti. La fortuna è stata quindi anche l’essermi potuta circondare di musicisti sensibili, capaci di rispettare la natura delle canzoni. Questo sì, è stato per me un vero privilegio.
Canzoni di qualità si sono sposate ad apporti di collaboratori di alto profilo nell’area alternative rock. Come è avvenuto che nomi importanti come Sacri Cuori e JD Foster siano entrati a far parte del cast dell’album e soprattutto questo era stato deciso prima o le canzoni gli sono state proposte una volta scritte?
Ho sempre rivolto la mia attenzione ad un panorama più alternative che tradizionale, se così si può dire. Avevo già scritto la maggior parte dei brani quando, a un live di Hugo Race and the Fatalists (i Sacri Cuori per intenderci), ho avuto la rivelazione finale: quel suono mi emozionava e mi prendeva lo stomaco, lo sentivo giusto per il mio nuovo disco, per me era magico. La mia sfida sarebbe stata unire quel “magia” a quanto avevo in testa io (suoni storti e cupi alla Mark Lanegan per intenderci). Così ho fatto ascoltare i miei brani ad Antonio Gramentieri, a lui sono piaciuti e abbiamo iniziato a collaborare. Lui è una persona davvero speciale. Molto pratico e di grande umiltà. E’ lui che ha reso possibili tutte le altre collaborazioni nel mio disco. Eravamo d’accordo da subito sul fatto che occorreva “sbilanciarsi”da una parte. Tutti i musicisti che hanno suonato, JD compreso, hanno infatti un loro carattere ben definito. Questa cosa mi piaceva.
Tra i vari ospiti spicca Hugo Race che ha legato il suo nome ad un’esperienza fondamentale come quella dei Bad Seeds. Com’è avvenuto l’incontro e com’è nata l’idea di farlo cantare in italiano?
Come descrivevo poco fa, tramite l’incontro con Antonio Gramentieri. Mi sembrava che il mio brano “Come un cane”, per quello che racconta e per il suo minimalismo, potesse essere in qualche modo adatto a Hugo, al suo personaggio e alla sua voce. Senza presunzione, ci mancherebbe! E’ una specie di “viaggio ipnotico”… E così ho fatto di tutto perché lui la ascoltasse. E poi….quale migliore opportunità di rendere felici i fan italiani di Hugo Race? 😉
Tornando alla varietà del disco, si sentono influenze disparate che in certi momenti danno al disco un bel respiro pop-rock consentendo di spaziare da momenti più oscuri ad altri più aperti e melodici. La strofa di Lucida ricorda le esperienze dei Matia Bazar tardi anni ’80 (“Noi”), mentre “Lasciami entrare” combina le ricorrenti atmosfere ossessive noir ad un gusto west coast più gioioso anche nel modo di rendere il canto. Questi riferimenti fanno parte delle tue influenze e passioni musicali?
Mi fa piacere che tu ne sottolinei la varietà. Credo che il fatto stesso di non comporre i brani sempre nello stesso modo già faccia in modo che le canzoni siano meno simili tra loro. Scrivere prima il testo e poi la melodia, o al contrario costruire un riff di chitarra e poi appoggiarci sopra le parole… danno risultati diversi per quanto mi riguarda. Ad essere sincera sento un brano come Lucida più vicino alle sonorità dei Calexico piuttosto che ai Matia Bazar. Le aperture più melodiche? Ammetto di averne spesso una gran paura, se non stai attento in un attimo puoi cadere nel banale. Quei “respiri” che intendi tu comunque fanno sicuramente parte di una Monica abituata fin da bambina ad ascoltare anche i grandi classici. Per esempio Lucio Battisti, Mina, Mia Martini, tanto per fare grandi nomi italiani. La passione musicale porta ad ascoltare davvero un mucchio di cose, faccio fatica a dirti quali sono diventate più o meno parte di me. Assorbiamo come spugne anche quello che a volte non diremmo neppure. Mentre io a vent’anni in camera mia ascoltavo The Cure, il rock blues, o quanto più di nicchia potevo trovare, magari nell’altra stanza si cantavano a squarciagola le canzoni napoletane….