Nuove proposte, ovvero se ancora non fosse abbastanza chiaro cosa voglia dire musica e voci create a tavolino, ecco la risposta definitiva. Di certo non c’è nulla da accendere o comunque pochissimo che accende e appassiona. Le tre cose di rilievo emerse nella scorsa edizione, si sono ridotte a una proposta interessante, forse due ragionando di pura approssimazione, scavando con tutte le piccole malizie che l’arte dello straforo impone.
Bianca – Saprai
Canzone ben scritta. Grande presa, appeal vincente. Insomma, roba da consumati professionisti che sanno fiutare le esigenze del mercato o di quel che ne è rimasto. Voce che sposa gli istrionismi gutturali di Winehouse e Adele con le modulazioni di Giorgia, pura scansione aritmetica di illustri precedenti senza rischi aggiunti. A vent’anni da E poi… ecco una decalcomania patinata forte di un ritornello dal bel largo melodico. L’usato sicuro. 6+
Diodato – Babilonia
Ennesimo brutto e pretenzioso tentativo di trasposizione nostrana di quel brit-rock esistenzialista portatore sano di tristi e inutili epigoni. Una litania spogliata della potente e sofferta dignità che ha accompagnato i grandi lamenti del rock, e che lascia sul campo solo rumori molesti sotto forma di gemiti. 4
Filippo Graziani – Le cose belle
Pop veloce per una cantilena ossessiva e irritante, che sa molto di slogan furbetto e acchiappaconsensi. Lo spettro di Amici rientra dalla finestra piazzando replicanti camuffati nei pressi dell’Ariston. Delusione per il figlio d’arte che fa rimpiangere il talento e l’ironia del grande predecessore con questa sbiadita replica priva delle sfumature variegate e sornione del Graziani senior. Le liriche all’insegna di un giovanilismo al cubo fanno il resto. 4 ½
Rocco Hunt – Nu juorno buono
Prendete Frankie Hi Nrg, tirategli via un po’ di nerbo e tempra vocale, dategli un accento partenopeo, prendete uno shaker e rimescolate il bignami del rap e derivati. Eccovi servito un surrogato di impegno e luoghi comuni buoni per tutte le stagioni e per questo Sanremo dal volto umano dei radical-chic di casa Fazio. 4
The Niro – 1969
Pare incredibile poter ascoltare finalmente una canzone nel senso originale e vivo, eppure sembra tutto vero. Melodia pianistica filante per una figurazione sonora ciclica che rende un senso di euforia svenata e sinistra, arrangiamenti giocati su staffette frenetiche tra tastiere e chitarre. Echi noir e nostalgie berlinesi, lampi di Cure e Bowie, liriche stralunate e apocalittiche per un autore interessante per quanto penalizzato da un’interpretazione vocale non sempre all’altezza del brano.
7 ½
Vadim – La modernità
Anche per quest’anno viene riempita la casella dedicata alla nuova leva espressa dall’area indie/underground. Unite con un tratto di penna i punti da uno a venti ed ecco tutti gli ingredienti per confezionare un prodotto abbastanza scaltro per lisciare il pelo agli stereotipi del genere. Allungate il tutto con una melodia accessibile costruita su soluzioni ampiamente sfruttate, parole che accarezzano il sociale con astuta condiscendenza e il preparato è pronto. 5
Veronica De Simone – Nuvole che passano
Alle spalle un’esperienza con il talent The Voice (terzo posto), lo spazio da riempire è quello dell’enfasi sanremese per eccellenza. Ballatina su registro armonico fisso interpretata da una ventiquattrenne che canta da adolescente una canzone che ricrea la retorica fragile e prosaica degli anni verdi. Riedizione taroccata della prima Pausini. 4
Zibba – Senza di te
Cantastorie con radici piantate in certo stile narrativo che sta tra fratelli Conte e Capossela e un melodico andante dal piglio popolare tra Califano e Locasciulli. Manierista da intrattenimento sussurra piacevole se consumato con cautela. Non oltre una strofa e un refrain. Potrebbe avere margini di crescita, staremo a vedere. 5 ½