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Home » Musica e concerti » SPILLO/ Adele e Amy Winehouse, ovvero come anestetizzare la bellezza del canto

  • Musica e concerti

SPILLO/ Adele e Amy Winehouse, ovvero come anestetizzare la bellezza del canto

Ci sono in giro tante bravi cantanti oggigiorno, sbancano i botteghini delle classifiche mondiali e piacciono a tutti. La provocazione di ALESSANDRO BERNI  e PAOLO VITES

Paolo Vites, Alessandro Berni
Pubblicato 14 Novembre 2015
adele-nuova_R439

Adele

C’è questo video che sta spopolando su Youtube Una ragazzina coreana (avrà 16, 17 anni) è ripresa mentre accompagnata da un pianista, esegue il nuovo hit di Adele, Hello, recentemente tornata sulle scene dopo qualche anno di silenzio, dovuto anche a una operazione alle corde vocali. Il video ha ottenuto un successo in fatto di clic ma anche di commenti positivi pazzesco. Una volta tanto non è il solito video virale costruito ad arte, ma una ripresa estemporanea, una manciata di minuti, un autentica improvvisazione, La ragazzina canta Hello e la canta straordinariamente, non solo ottime doti vocali, ma anche energia, sentimento, passione. 


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Che c’è di strano? In sostanza nulla, il mondo è pieno di gente che sa cantare molto bene. L’unica cosa che suona “stonata” è che la ragazzina canta meglio, ma molto meglio di Adele (la cui incisione del brano Hello è diventata immediatamente una hit mondiale). E Adele è una gran brava cantante.


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Si direbbe: vince chi canta meglio. Oppure: una bella voce fa la differenza. Non è così. Adele ha ottenuto sin da subito un successo planetario che non si spiega solo con il fatto di avere una bella voce. 

Da un po’ di anni a questa parte, se ci avete fatto caso, siamo pieni di cantanti giovanissimi o giovani che esplodono con il fragore di una supernova in termini di successo. E’ come se ci fosse una fame di star di livello mondiale, come se ci fosse un buco da riempire a ogni costo. Certo, i discografici fanno il loro mestiere come lo hanno sempre fatto. Sam Phillips, il discografico che scoprì Elvis, sognava con lui di fare “un milione di dollari”. 


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Il problema vero è che Adele non è per niente una grande interprete. Come tante altre stelline di questi tempi, è una rappresentante del bel canto come lo si vuole oggi, asettico e senza visione artistica. E’ perfettamente in linea con quello che i tempi richiedono per avere esposizione e successo.  In mano alla produzione, corrispettivo femminile degli ultimi Coldplay e di cento altri come loro. Non resterà nulla di loro nella storia. 

Ascoltata un paio di volte, Hello è una noia mortale che non trasmette alcun sentimento. La ragazzina coreana ne comunica tonnellate di più. Ma la ragazzina coreana aveva qualcosa da comunicare in quel momento. Adele doveva invece fare un prodotto che soddisfacesse le masse. Masse che non hanno ormai più la percezione di quello che è un sentimento, assueffatte a qualunque cosa la tv o Spotify propongano.

Amy Winehouse era la stessa cosa di Adele seppure da un aspetto diverso. Aveva in sé i germi della grande interprete ma la sua statura artistica si riduceva al pretesto della bravura vocale senza alcun riferimento a un repertorio che infatti fino alla sua morte non è sostanzialmente mai esistito. Qualche tocco di R&B, di soul finto plastificato, ma soprattutto tendenza, pubblicità, produzione. Viene da pensare che la Winehouse sia morta nel modo che è morta non per particolari problemi personali, ma perché era consapevole di essere un oggetto in mano di chi la stava vendendo.

Il secondo ed ultimo disco (il famoso Back to Black) ha oltre alla canzone del titolo, due brani (che seguono Back to Black nella tracklist, ossia “Love is a Losing Game” e “Tears Dry on Their Own”).  Due bei brani di cui il secondo sfrutta (bene) una citazione di Ain’t No Mountain High Enough per costruire la canzone. Lei stessa infatti aveva citato Ashford & Simpson tra gli autori. Tre canzoni buone su undici e nelle altre otto il suo ruolo di autrice annacquato da canzoni a la page zeppe di stereotipi che si possono trovare appunto anche negli album di Adele.  Destinata al nulla, abbastanza per chi sente dentro di sé la musica in maniera vitale ed emozionante si lasci morire di alcol e droga. Quando è morta non faceva album di canzoni nuove da circa 5 anni.

Un’altra artista scomparsa in modo tragico è stata Whitney Houston, forse l’antesignana di un certo modo di intendere e ridurre l’idea dell’artista e della canzone. Con il susseguirsi dei dischi è stata ridotta a fenomeno. Di lei si può almeno dire che ha inciso 6-7 canzoni degne. Seppure in minima parte rimaneva ancora qualcosa dell’artista legata a un autore che scriveva per destinazione (e non alla produzione e alla moda).  

 

Andando poi a documentarsi su chi sta dietro l’ultimo hit di Adele c’è da rimanere senza parole. Greg Kurstin, un produttore/musicista/arrangiatore che ha scritto in questi anni per tutti e tutte, con i piedi in tutte le scarpe possibili da Gabriella Cilmi, replica australiana di Amy Winehouse a Sia, originale e potente voce pure lei australiana per la quale ha scritto inizialmente un paio di ottime canzoni, optando in seguito per farla sfilare nella passerella omologata dello star system con l’ultimo disco “1000 Forms of Fear” (con la notissima “Chandelier” una delle più abusate canzoni prestate alla pubblicità dell’ultimo biennio).

Se si presta attenzione Il ritornello della nuova canzone di Adele tende a rifarsi a cose come “Non mi Ami” una delle poche cose decenti dell’ultimo disco di Giorgia, scritta dall’inglese Natasha Bedingfield, cantante a sua volta allevata alla scuderia di questo Kurstin e diventata a sua volta più autrice di successi altrui che artista in proprio.  A leggere queste cose si tocca con mano come il giro dei produttori “factotum” sia impressionante, roba da Mangiafuoco.

Jerry Wrexler, uno dei massimi produttori di sempre che lavorò fra gli altri anche con Aretha Franklin, anni fa se ne uscì con una geniale descrizione di quello che era diventato oggi il modo di cantare: “oversouling”, eccesso di soul si potrebbe definire. Greil Marcus, il maggior scrittore rock di sempre, così tradusse quella espressione: “Un inarrestabile, insensato melisma che oggi la maggior parte dei cantanti neri maschi e femmine propina al pubblico facendo finta di dispensare emozioni, che ha invaso un gran numero di radio mainstream e di canali televisivi musicali non provocando in nessun caso una benché minima reazione erotica da parte dell’ascoltatore”.

Erotica? Che centra l’eros nel canto? Tutto. E non intendiamo i culetti scoperti di Beyoncè, le migliaia di lifting di Madonna, le tette finte o le linguacce di Miley Cyrus. Intendiamo quella tensione emotiva carica di desiderio che in un mondo ormai anestetizzato nessuno sa più esprimere e cogliere. Neanche nel canto. 


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