“Se Ryan Adams può essere rovinato dal suo comportamento inquietante, la maggior parte del rock morirà con lui” intitolava un articolo pubblicato qualche giorno fa dal Telegraph, quotidiano inglese. In sostanza, la vecchia triade “sesso droga e rock’n’roll” è quella che terrebbe in piedi, ancor oggi, questa musica. L’articolo fa riferimento al caso del cantautore americano Ryan Adams accusato da sette donne, tra cui la ex moglie, per violenza e abusi sessuali uno dei quali con una minorenne all’epoca dei fatti, quest’ultimo via WhatsApp (un po’ squallido invero, d’altro canto siamo nell’epoca dei social).
Adams ha negato tutto, anche se alcuni dei messaggi inviati via telefono sono stati resi pubblici; in uno di questi, con evidente preveggenza ma anche con evidente conoscenza dell’ambiente, scrive: “Se la gente venisse a conoscenza di quello che facciamo, direbbero che sono come R. Kelly”.
R. Kelly, cantante, compositore, rapper e produttore discografico statunitense, si è costituito nei giorni scorsi (è appena stato rilasciato su cauzione) proprio per rispondere di accuse di abusi sessuali. Il messaggino si concludeva con un “lol”, un po’ in stile bimbo-minkia. Naturalmente nessuno dice che Ryan Adams è colpevole di alcunché, anche se sulle accuse sta indagando addirittura l’Fbi, fino a prova provata, né ci interessa accanirci con l’ottimo cantautore. Ne parliamo perché il primo caso nel mondo del rock di abusi su donne e su minorenni che viene denunciato.
Quello che incuriosisce della faccenda, dalle reazioni come quella dell’articolo citato, è che gli artisti rock dovrebbero essere immuni di diritto da quanto il movimento “MeToo” sta facendo, dal mondo del cinema fino a quello della politica. Già, perché l’immaginario rock è fatto di star che fanno sesso sfrenato con decine di ragazzine come se fosse un distintivo da appuntarsi sulla giacca. Vasco Rossi ad esempio si è sposato con una delle tante che dopo i suoi concerti facevano la fila davanti al suo camper per essere “ricevute” dalla star. A lei è andata bene.
C’è forse paura che criticando questo comportamento i musicisti rock non abbiano più materiale su cui scrivere canzoni? Eppure gli anni 70 sono finiti da tempo, quelli che permettevano sì di scrivere bellissime canzoni come Memory Motel dei Rolling Stones, dedicata a una groupie in un raro caso di delicata tenerezza, ma anche di aver causato sofferenze e traumi non da poco. Il mondo del rock è sempre stato maschilista e ha sfruttato con impegno la debolezza di tante ragazzine. Il bellissimo film “Almost Famous” racconta proprio il mondo delle groupie negli anni 70, con la brava Kate Hudson che si accompagna a un chitarrista di una rock band in tour per poi arrivare a New York dove lo aspetta la moglie. Lei è convinta che lui lascerà la moglie per lei, ma lui non ci pensa affatto: finito il tour, finita la storia d’amore (soprattutto di sesso). La groupie tenterà il suicidio, salvata per un pelo dall’amico giornalista (che si era innamorata di lei di un amore semplice e puro). “Quella groupie?” urla in faccia il giornalista al chitarrista “tutto quello che faceva era amare la tua band e tu l’hai usata, tutti voi! L’hai usata e gettata via! E’ quasi morta la scorsa notte mentre tu eri con Bob Dylan! Parli sempre dei fan, e lei era la tua più grande fan e tu l’hai gettata via e se non lo capisci tu hai un grosso problema”.
Cioè quanto potete sfruttarle per i vostri piaceri queste ragazze colpevoli di amare la vostra musica? Fortunatamente molte donne si sono fatte più furbe negli ultimi anni. Tempo fa i Rolling Stones erano in tour con The Corrs, gruppo irlandese composto per tre quarti da tre meravigliose sorelle. Mick Jagger, alla soglia dei 70 anni, ci provò apertamente con una delle due la quale lo rispedì in camera sua con la coda fra le gambe: “Potresti essere mio nonno” gli disse.
Ci sono poi fenomeni anche più disgustosi: manager, discografici, guardie di sicurezza, che attirano le ragazzine con la promessa di far loro conoscere la star per poi sbatterle via dopo essersele portate a letto e non aver fatto veder loro neanche i camerini della suddetta star.
Sentir dire che certi comportamenti sessuali sono perdonabili per alcuni (pensiamo al caso di Michael Jackson ad esempio) vengono in mente i tempi in cui l’aristocrazia poteva fare sesso con chiunque volesse, ma i servi non potevano altrimenti rischiavano la morte. La deificazione persistente degli artisti (maschili) ha creato un nuovo tipo di aristocrazia.
“Se Ryan Adams può essere rovinato per il suo comportamento inquietante, la maggior parte del rock morirà con lui”: quando è stato deciso che l’arte conta più delle persone? “Sono propenso a pensare che non si possa fare arte senza essere un essere umano balordo e problematico”, dice ancora quell’articolo. Non è l’artista che deve soffrire in nome della buona arte, ma quelli che lo frequentano, a quanto pare. Eppure il mondo del rock degli ultimi decenni ci ha mostrato che si possono fare canzoni immense senza neanche fumare sigarette (Bruce Springsteen) o essere fedelmente sposati con la propria compagna di scuola da oltre 40 anni (Bono) rifiutando migliaia di occasioni. Pensavamo che gli anni 70 fossero finiti, ma per alcuni non è evidentemente così.
Quelli di noi capaci di tenere due pensieri nella nostra testa contemporaneamente sanno che le persone possono fare grandi cose e anche cose cattive. “Questo significa che devo buttare via la mia collezione di dischi?”, piagnucolano molti fan della musica in modo indignato. La risposta è: dipende da te, amico, a nessuno frega qualcosa dei tuoi gusti musicali. Si sta solo cercando di creare un mondo in cui quelli che dicono di essere stati maltrattati siano presi sul serio come lo sono le celebrità. Forse anche di più.