Con una mossa intelligente e brillante, Massimo Priviero è riuscito a mettere in un solo libro autobiografia, romanzo e documento dell’Italia di provincia (in questo caso quella veneziana) dalla Prima guerra mondiale agli anni 60. “Amore e rabbia” (Vololibero editore, 366 pagine, euro 19,99) non è dunque la solita autobiografia un po’ narcisistica e trionfale che tutti gli appartenenti al mondo dello spettacolo arrivati alla mezza età si sentono obbligati a fare (oggigiorno peraltro siamo messi così male che si trovano autobiografie di stelline del mondo dei talent show appena poco più che ventenni in circolazione). Anche perché Massimo Priviero, come chiunque ha avuto la fortuna di conoscere di persona e non solo dai suoi tanti dischi (una carriera cominciata nel 1988) e concerti, è persona umile, discreta e modesta. Ma soprattutto, a differenza della maggioranza dei suoi colleghi, è persona di cultura, con una laurea in storia e filosofia, conoscitore profondo della sua terra d’origine e orgoglioso narratore delle sue storie (al proposito, si consiglia il suo bellissimo ultimo disco “All’Italia”).
E’ così che Priverò, non si sa quanto realmente ma propendiamo per il gusto della narrazione, si immagina uomo al fatidico incrocio della vita, 50enne come realmente è, che si ferma a meditare su se stesso e dove la vita lo possa portare. Nel libro il cantautore si ritira nella sua vecchia città di origine, Eraclea Mare a pochi passi da Jesolo, lasciando la caotica Milano dove ha speso gli ultimi 25 anni nel mondo della musica. Qua riaffiorano i ricordi della fanciullezza, le figure del nonno e del padre, l’ambiente di provincia che grazie al boom economico trasforma povera gente in imprenditori del turismo, le folle di turisti che arrivano a popolare quei luoghi per tre mesi l’anno lasciandoli abbandonati alle nebbie e al mare per il resto dell’anno. Il tutto con una prosa accattivante, ricca di mestizia senza mai diventare auto referente: “Amo il silenzio. Amo il verso del mare. Amo soprattutto qualunque suono che si sente in natura e nasce spontaneo nel luogo in cui ti trovi. Basta solo che non venga dall’uomo. Solo la vera musica è un suono costruito dall’uomo degno di essere ascoltato”.
Si sfogliano così pagine teneramente dedicate alla famiglia e al suo popolo, un tempo migranti in cerca di un boccone di pane dall’altra parte dell’Oceano (“Immaginavo un posto dove si poteva star bene e aver pochi problemi. Un posto dove la gente lavorava sui campi di giorno e alla sera si ritrovava intorno a grandi tavolate in attesa che arrivasse la domenica per far festa. Mi ci volle del tempo e un poco di studio per capire che quel luogo era un pezzo quasi desertico vicino al fiume dove tanti italiani erano andati a spaccarsi la schiena per tirarci fuori appena di che vivere”). C’è naturalmente la sua storia personale, dai campetti dell’oratorio al mondo della musica, pagine che faranno scoprire ai lettori un mondo ben diverso da quello incantato dei talent show fasulli della tv (“Ho visto ladri, cialtroni, pazzi, figli di puttana, mafiosi, corrotti, m anche innamorati, disperati, onesti, musicati d’anima e sognatori”). C’è umorismo, c’è introspezione, c’è nostalgia, c’è la sua terra e la metropoli fagocitatrice del desiderio di felicità.
Priviero però non abbandona mai la domanda esistenziale che lo ha portato qui, in un paesino semi abbandonato nelle nebbie invernali: perché sto scrivendo queste pagine? Che è anche la domanda della vita: chi sono e quale il mio destino? E in questo modo ci tiene incollati fino alla fine, che non è una fine ma un augurio di proseguire con la stessa voglia di vita che negli alti e bassi non lo ha mai abbandonato: “Sto per addormentarmi. Sorrido. Mi dico che domani ci sarà un’alba bellissima e che avrò tutta la forza che serve per riprendere la mia strada. Non conosco le dinamiche delle correnti in questo tratto di mare. Ma sono sicuro che mi risveglierò in qualche punto della spiaggia. Anche se non ho idea di quando e di dove questo accadrà”.