Alcune note già si possono fare sul prossimo conclave. Riguardano la rappresentanza dei cardinali, il numero e la conoscenza reciproca
La morte di Papa Francesco che apre alla terza elezione pontificale di questo secolo invita a qualche osservazione che oltrepassi i limiti della (pur importante) riflessione in ordine alle previsioni circa il futuro pontefice.
Una prima e più importante notazione, a mio avviso, dovrebbe riguardare le norme che disciplinano questo periodo di sede vacante e, in particolare, il conclave. Credo si debba concludere per l’esistenza di una sostanziale continuità tra il primo provvedimento legislativo organico su questa materia dell’età contemporanea, la costituzione Vacante Sede Apostolica del 25 dicembre 1904 emanata da Pio X e le regole attuali fissate da Giovanni Paolo II e, modificate sia pure senza intaccarne l’impianto, da Benedetto XVI e da Francesco.
La costituzione del 1904 seguì il primo provvedimento di questo pontefice, un’altra costituzione, la Commissum Nobis del gennaio 1904, che toglieva ai sovrani cattolici il diritto di veto, esercitato per l’ultima volta dall’imperatore d’Austria-Ungheria contro il card. Rampolla nel conclave del 1903, nel quale fu eletto, appunto, Pio X. Va anche detto che, malgrado sia stata resa pubblica solo molto più tardi, la Vacante Sede Apostolica può essere considerata, a ragione, il primo degli interventi riformatori di questo pontefice.
Non meraviglia perciò, che, malgrado tutti i pontefici successivi (con l’eccezione di Benedetto XV e di Giovanni Paolo I) siano intervenuti, con provvedimenti vari, a modificare le norme in questa materia, solo nel 1993 Giovanni Paolo II emanò una costituzione, la Universi Dominici Gregis, che diede una nuova disciplina organica alla materia.
Il maggiore elemento di continuità con le scelte di Pio X e, attraverso di esso, con le disposizioni introdotte tra l’XI e il XII secolo da Nicolò II e Alessandro III, è il mantenimento della riserva al collegio cardinalizio del diritto di eleggere il pontefice. Questo diritto risulta rafforzato dalla riflessione contenuta in Universi Dominici Gregis, secondo la quale “anche nelle attuali contingenze storiche la dimensione universale della Chiesa sembra espressa dal Collegio dei centoventi cardinali elettori”.
Tuttavia alcune delle considerazioni che hanno portato Giovanni Paolo II a non aderire alle richieste provenienti, negli anni del post-Concilio, da molti settori della Chiesa di estendere anche ai rappresentanti dell’episcopato la partecipazione all’elezione del pontefice, erano già presenti in Romano Pontifici eligendo, la costituzione del 1975 di Paolo VI. Papa Montini, poi, ritenne che alcune premesse fossero riscontrabili sia in Pio XII, che in Giovanni XXIII, che “ne (del collegio cardinalizio) ha aumentato il numero dei componenti (col suo primo concistoro del novembre 1958 si arrivò ad avere 74 cardinali superando il numero di 70 stabilito da Sisto V nel 1576) e ha disposto che tutti fossero elevati all’Episcopato”.
Quella tendenza, che dava al collegio cardinalizio non solo la funzione di costituire il collegio dei collaboratori del pontefice nel governo della Chiesa universale, ma anche la missione di rappresentarla, si è ulteriormente rafforzata in questi ultimi decenni, ma rimane il fatto che, almeno a mio avviso, la riforma più penetrante, ma anche il punto di non ritorno, è stata quella di Paolo VI, confermata dai suoi successori, che ha allargato il numero dei cardinali elettori a 120 e, nel contempo, ha fissato a 80 anni l’età massima per la partecipazione al conclave. Da quella data il numero dei cardinali partecipanti al conclave si attesta intorno ai 120 (saranno 113 e 115 nei conclavi del 1978, 116 nel 2005, 115 nel 2013, salgono a 135 per il prossimo conclave). Anche a proposito di quest’ultimo numero, si dovrebbe tenere conto che al 21 aprile del prossimo anno si ridurranno a 120, sempre che non ci siano nuovi concistori.
Restano alcune considerazioni minori, in particolare in riferimento ai cardinali italiani. La più significativa, che vorrei spogliare da qualsiasi connotazione polemica, potrebbe essere la riduzione dei cardinali italiani, titolari di sedi arcivescovili tradizionalmente cardinalizie, visto che in conclave non ci saranno gli arcivescovi di Genova, di Milano, di Palermo e il patriarca di Venezia, e che per Firenze ci sarà il vescovo emerito, pur se saranno presenti alcuni vescovi diocesani, di diocesi non tradizionalmente cardinalizie.
Questo, tuttavia, non sembra avere avuto un’influenza sul piano numerico, visto che, pur rimanendo gli italiani il gruppo più numeroso, non c’è dubbio sulla loro diminuita rilevanza numerica in conclave. In definitiva, rimane da chiedersi se la funzione sempre più esplicita di rappresentanza della Chiesa universale assunta, non solo con questo pontificato, dal collegio cardinalizio, non vada guardata con favore, pur se tale scelta ha sacrificato sedi con una tradizione di presuli insigniti del titolo cardinalizio (peraltro si potrebbe ricordare come lo stesso Montini abbia dovuto attendere Giovanni XXIII per ricevere questa dignità).
Qualche riga mi sembra meritino due ulteriori osservazioni che trapelano nel mondo cattolico.
La prima riguarda la domanda circa la solidità del trend rappresentato dalla sequenza di tre pontefici non italiani in ordine alla considerazione della nazionalità italiana come titolo favorevole per l’elezione. Difficile dare una risposta se non quella che le candidature di un italiano in quanto italiano mi sembrano definitivamente tramontate.
La seconda riguarda il grado di conoscenza reciproca esistente tra gli elettori. Credo che, a questo proposito, si debba dire che anche per gli uomini di chiesa esiste internet con i suoi pregi e i suoi difetti, e che gli interventi di tutti sono ampiamente disponibili in rete. Forse una qualche attenzione meriterebbe, però, un altro elemento che apre una questione interessante, ma delicata da percorrere.
Non c’è dubbio che in molti casi, in passato, la conoscenza era data dalla frequentazione delle università romane o di mondi ad esse collegate, mentre oggi sembra, e non è necessariamente un elemento negativo, che i cardinali possano usufruire molto meno di un tale background. La verifica e l’approfondimento di osservazioni di questo genere, pur di estremo interesse, ci porterebbe, tuttavia, molto oltre i limiti di queste brevi righe.
Sì potrebbe chiudere con un dato che forse ha un valore solamente dal punto di vista della cronaca, quello per cui in questo scorcio di XXI secolo si sono avuti tre conclavi secondo una sequenza analoga a quanto avvenuto nel secolo scorso. Se noi abbiamo avuto un’elezione nel 2005, una seconda nel 2013, e questa del 2025, nel secolo XX la sequenza era partita il 1903, con l’elezione di Pio X, cui erano seguite nel 1914 quella di Benedetto XV e, nel 1922, quella di Pio XI.
A completare questo curioso parallelismo sta il fatto che il pontificato d’esordio, in entrambi i secoli, viene dopo un papato durato oltre un quarto di secolo, negli anni 2000, quello lunghissimo di Giovanni Paolo II, eletto nel 1978, e, nel Novecento, quello di Leone XIII, eletto nel 1878. Ma, segnalata questa curiosità, non è possibile, neanche brevemente, tentare di rispondere agli interrogativi che una tale sequenza può suscitare, in termini di continuità e di discontinuità.
Mi limito ad accennare al fatto che il pontificato di Pio XI introdusse la Chiesa nell’avventura del “secolo breve”, un tempo completamente diverso da quello nel quale si erano mossi i suoi predecessori; e gli avvenimenti cui stiamo assistendo sembrano presagire che il nuovo pontefice si troverà in una situazione dello stesso genere.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.