Omicidio Yara Gambirasio, fu veramente uccisa da Massimo Bossetti? Tutti i dubbi sulla condanna definitiva a carico del muratore bergamasco
Nonostante per la giustizia italiana il caso dell’Omicidio Yara Gambirasio sia ormai chiuso da una decina scarsa di anni, con la colpevolezza accertata da tutti e tre i gradi di giudizio – come si dice: “al di là di ogni ragionevole dubbio” – a carico del muratore bergamasco Massimo Bossetti, sono ancora tantissimi (come effettivamente accade per la maggior parte dei casi di cronaca nera eclatanti, da Rosa e Olindo fino ad Alberto Stasi) a credere l’uomo del tutto innocente; mentre lui stesso, ormai in carcere dal 2018, continua a professarsi estraneo all’omicidio di Yara Gambirasio: tesi che quasi certamente ripeterà anche questa sera a Belve Crime in un’intervista esclusiva e sulla quale vale la pena soffermarci.
Prima di entrare nel vivo dei dubbi sulla condanna contro Bossetti, vale la pena ricordare che a lui si arrivò soprattutto attraverso tre prove determinanti: da un lato quel DNA di “Ignoto 1” trovato sugli slip che la 13enne indossava quando fu uccisa; dall’altro, quegli anomali passaggi con il suo furgone fuori dalla scuola di ginnastica che Yara frequentava e che visitò la sera stessa della sparizione e, infine, il fatto che il cellulare agganciò le medesime celle telefoniche della vittima in orari compatibili con l’omicidio.
Omicidio Yara Gambirasio: tutti i ragionevoli dubbi rimasti aperti sulla responsabilità di Massimo Bossetti
La conseguenza fu che Massimo Bossetti venne ritenuto colpevole proprio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, soprattutto in virtù della prova regina del DNA sugli slip della vittima; mentre, in realtà, a ben guardare, le lacune nelle indagini sembrano essere parecchie: in primo luogo, il fatto che il DNA di “Ignoto 1” era incompleto, privo (per ragioni del tutto incomprensibili) della componente mitocondriale; mentre, al contempo, sul corpo della vittima erano presenti anche altre nove tracce di DNA (in parte maschili, ma non compatibili con “Ignoto 1”, e in parte femminili) che non vennero mai veramente analizzate, né ritenute compatibili con l’assassino.
Similmente, resta il dubbio del ritrovamento del corpo in quel campo lungamente vagliato (e nel quale, secondo i processi, la ragazzina fu effettivamente aggredita quella stessa serata della sparizione) da ricercatori e inquirenti, senza che venisse fuori nulla per tre lunghissimi mesi; mentre non si è mai neppure spiegato perché i cani molecolari sulle tracce di Yara Gambirasio condussero in più occasioni ad un cantiere vicino al campo, nel quale non risulta che Bossetti abbia mai messo piede, almeno non ufficialmente per ragioni lavorative.
Come se non bastasse, è utile ricordare che sul furgone, nell’auto e sugli indumenti di Massimo Bossetti non è mai stata trovata nessuna traccia della 13enne (forse questo ascrivibile al fatto che il suo arresto arrivò circa quattro anni dopo l’omicidio), né una potenziale arma del delitto; mentre – e forse è l’aspetto più importante – non sembra reggere neppure il movente confermato dai processi: secondo l’accusa, Bossetti voleva violentare Yara Gambirasio, ma sul suo corpo non fu trovato alcun segno di violenza sessuale; pur avendola completamente soggiogata al suo volere dopo averla tramortita.
