Su Nature Communications è stato appena pubblicato un nuovo studio sul trattamento della fertilità: ecco cosa sono riusciti a fare degli scienziati
Un possibile enorme passo avanti per quanto riguarda il trattamento della fertilità. Stando ad una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications, gli scienziati starebbero utilizzando le cellule della pelle umana per creare degli ovuli fecondabili che sarebbero in grado di produrre degli embrioni precoci. Si tratta di una scoperta molto importante in quanto andrebbe ad ampliare di molto le possibilità di trattamento della fertilità.
Lo studio è stato riportato dalle principali testate internazionali, a cominciare dagli americani della CNN, e precisa che gli scienziati che l’hanno realizzato hanno prelevato il nucleo – la zona della cellula che contiene la maggior parte delle sue informazioni genetiche – da una normale cellula cutanea umana, dopo di che è stata trapiantata in un ovulo. Grazie a questa operazione i ricercatori hanno prodotto ben 82 ovociti umani funzionali – detti anche cellule uovo immature – che sono state in seguito fecondate in laboratorio.
Il risultato è quindi quello di un ovulo con all’interno lo stesso DNA del donatore e che può essere quindi fecondato attraverso lo sperma di un altro individuo, “una pietra miliare nello sviluppo di un nuovo approccio per affrontare l’infertilità”, sottolinea la CNN, ricordando che comunque ci vorrà almeno un decennio prima che questa tecnica possa essere disponibile in medicina, così come sottolineato dalla dottoressa Paula Amato, coautrice dello studio e professoressa di ostetricia e ginecologia presso la Facoltà di Medicina dell’OHSU.
STUDIO SULLA FERTILITÀ RIVOLUZIONARIO: “PER LE DONNE ANZIANE…”
“Questo permetterebbe – ha sottolineato i risvolti positivi di questa ricerca – alle donne anziane, o alle donne senza ovuli per qualsiasi motivo (ad esempio, in seguito a precedenti trattamenti oncologici), di avere un figlio geneticamente imparentato. Inoltre, permetterebbe alle coppie dello stesso sesso (ad esempio due uomini) di avere un figlio geneticamente imparentato con entrambi i partner”.
La sfida principale di questo studio è stata quella di “assicurarsi che l’ovulo fecondato riprogrammato avesse il numero giusto di cromosomi: le cellule sessuali (spermatozoi e ovuli) hanno ciascuna 23 cromosomi, metà dei 46 presenti nelle normali cellule umane, come le cellule della pelle”, aggiunge ancora la CNN.
STUDIO SULLA FERTILITÀ RIVOLUZIONARIO: GLI ASPETTI NEGATIVI
Attenzione però perchè non è tutto rose e fiori visto che, i ricercatori hanno fatto sapere che meno del 10% degli ovuli creati in laboratori ha raggiunto lo stadio di blastocisti nello sviluppo embrionale, quello che si ottiene all’incirca 5 o 6 giorni dopo la fecondazione, il momento durante il quale gli embrioni vengono trasferiti nell’utero quando si effettua la fecondazione in vitro.
Inoltre tutti gli embrioni erano cromosomicamente anormali – quindi con un numero di cromosomi errati – di conseguenza non avrebbero potuto dare origine a dei bambini sani o probabilmente avrebbero smesso di svilupparsi. Di conseguenza sono necessarie delle ulteriori ricerche per approfondire tutte queste criticità emerse, prima che questo trattamento possa essere utilizzato in clinica, ed in particolare, bisognerà studiare meglio come riprodurre il numero esatto di cromosomi.

STUDIO SULLA FERTILITA’ RIVOLUZIONARIO: LE CRITICITÀ EMERSE
“In questa fase si tratta solo di una prova di concetto e sono necessarie ulteriori ricerche per garantirne l’efficacia e la sicurezza prima di future applicazioni cliniche”, ha specificato il coautore dello studio Shoukhrat Mitalipov, direttore del Centro per la terapia genica e cellulare embrionale dell’OHSU.
Amander Clark, professore di biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo presso l’Università della California, Los Angeles, si è detto cautamente ottimista, spiegando che tale tecnologica, così come è ora, non funzionerebbe per il trattamento della fertilità, anche se si tratta di un progresso impressionante: “Tutti gli embrioni erano geneticamente anormali. Pertanto, questo approccio non sarà e non dovrebbe essere offerto nei laboratori di fecondazione in vitro finché non saranno apportati miglioramenti tecnici”, ha affermato Clark, direttore del Centro per la Scienza, la Salute e l’Educazione della Riproduzione (UCLA Center for Reproductive Science, Health and Education). Tenendo conto comunque che ci sono milioni di donne in tutto il mondo che soffrono di insufficienza ovarica primaria, questo approccio rappresenta senza dubbio “un inizio importante”.
