Le condizioni di papa Francesco hanno innescato un meccanismo mediatico nel quale sta accadendo quasi di tutto. Perfino l’anticiparne le “dimissioni”

La comunicazione istituzionale stavolta è stata più diretta e completa che in occasioni precedenti, mandando in fuorigioco (se si vuol stare alle similitudini calcistiche) i fautori delle opposte cospirazioni. Il tenue miglioramento nelle condizioni di salute di papa Francesco, seppur incoraggiante vista la criticità della situazione, non significa affatto uno scampato pericolo. Ogni malato deve essere trattato con cura e, per quanto possibile, essere egli stesso tranquillo nella cura che segue; e questo spirito, al momento, e sempre secondo le comunicazioni ufficiali, risulta profondamente introiettato dal pontefice.



Ci siamo perciò risparmiati, o almeno lo speriamo, le sfiancanti dietrologie del “minuto per minuto”. Purtroppo, e questo problema non riguarda solo la Chiesa cattolica, abbiamo sviluppato da tempo sulle condizioni della persona – chiunque essa sia – il gusto della diretta voyeuristica, del giudizio prima dell’analisi e dell’analisi prima del fatto.



Dopo Giovanni Paolo II, i cui ultimi giorni terreni nella primavera del 2005 furono seguiti con partecipazione ossessiva e mondovisioni imbarazzanti, si è ben compreso che la globalizzazione è stata ed è fenomeno comunicativo completamente trasversale agli ambiti della vita associata. Persino se si tornasse tutti in blocco ai poteri centrali di Stati-nazione ben definiti, come suggerirebbe il clima politico dell’ultimo anno, questo aspetto (deleterio) almeno resterebbe in piedi: diffusione simultanea e planetaria di immagini vere e finte da commentare, prima ancora che capire.

Al punto che alla scomparsa di Benedetto XVI, che aveva rinunciato quasi dieci anni prima e che perciò non era tallonato dal medesimo furore mediatico, ci si era piuttosto stupiti dell’effetto contrario: la sincera presenza di circa centomila fedeli al colonnato di San Pietro nelle ore successive al decesso.



Se il tema della notorietà nella seconda metà del XX secolo era il crescere in pubblico (growing up in public), in questo primo scorcio del XXI centrale sembra essere l’ostensione della malattia, dell’invecchiamento, del sospetto e del truculento, senza che ciò implichi alcun significativo apprezzamento di cosa davvero sia o possa definirsi la tutela della vita. Francesco, perciò, in quanto papa, non è percepito come un quasi novantenne alle prese con malanni di varia natura e consistenza, bensì come una delle tante celebrities su cui spendersi alla posta dei pronostici: che succederà? Cosa farà?

Un’altra parola abusata, persino in ambiente ecclesiale, è quella delle “dimissioni”. Senonché non c’è nessuna norma canonica che parli di dimissioni del pontefice e, giuridicamente parlando, l’istituto delle dimissioni nel diritto amministrativo secolare ha tutt’altro scopo e significato.

È più corretto parlare, appunto, di “rinuncia”: una rinuncia (poco) giuridificata, anche perché la sua occorrenza quantitativa nella storia della Chiesa era stata sostanzialmente limitata, e all’opposto oggi diventa quasi di pubblico dominio. Sarà forse che dall’ultima renuntiatio Papae fino al concistoro ordinario del febbraio 2013 passò più di mezzo millennio, ed è invece oggi tutto sommato realistico immaginare che la prossima avverrà molto prima, fino a trasmettere in qualcuno l’idea che debba addirittura diventare, contemporaneamente, una procedura e una prassi.

Il punto sarebbe, allora, quello di chiedersi che significato abbia la rinuncia nel presente della Chiesa e, in fondo, anche perché susciti molto interesse in opinioni pubbliche culturalmente cattoliche quanto in realtà ormai secolarizzate persino nelle forme di manifestazione del culto.

Non esiste un modello di persona giuridica sufficientemente esaustivo da potervisi ricondurre la Chiesa di Roma ed è più probabile che si riconoscano parte della stessa categoria due società per azioni e non due confessioni religiose. La consumazione terrena dell’esistenza, per effetto di un innegabile progresso medico, non corrisponde più al venire meno delle proprie ordinarie capacità: queste ultime si smarriscono sempre più frequentemente con un certo anticipo rispetto alle possibilità di prosecuzione dell’esistenza biologica. E tuttavia non ci pare nemmeno questo il tema profondo dietro a tante ricostruzioni avventurose degli ultimi giorni sulla salute del papa o sulla possibile individuazione del suo successore al soglio petrino.

Esiste, piuttosto, un essere Chiesa nel mondo, che contestualmente si esprima per via istituzionale nella comunione col suo vertice e tuttavia in una continuità tanto storica quanto soteriologica che possa prescindere dallo specifico ministro, episcopo, pontefice?

E questa sintesi, che sempre di più ci appare come uno iato difficilmente sanabile, riguarda in pari misura e con la stessa premura il clero e il laicato? Risposte più precise a questi interrogativi andranno forse formandosi da qui a quando il 267simo papa della Chiesa di Roma si affaccerà per la prima volta in San Pietro.

 

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