Ieri nell’udienza a Castel Gandolfo papa Leone XIV ha chiesto che tacciano le armi in Ucraina e a Gaza e ha ricordato san Massimiliano Kolbe
Il Papa è in prima linea nell’invocare la pace nel mondo. In un improvvisato dialogo con alcuni cronisti all’esterno della residenza estiva di Castel Gandolfo, ha espresso un accorato auspicio per un cessate il fuoco generale che interrompa definitivamente le violenze e le stragi che sconvolgono la vita di intere popolazioni.
Per questo ha invocato Dio, ma ha anche richiamato la coscienza di tutti gli uomini e dei grandi della terra perché si ponga fine alle atrocità della guerra nell’Est Europa e in Medio Oriente.
Il suo auspicio affonda in una verità profonda che illumina l’esistenza dell’uomo e l’intera storia: ieri durante l’udienza generale Leone XIV ha affrontato il tema del male, del tradimento e della violenza secondo lo sguardo e il giudizio di Cristo, che non ha eliminato il male dal mondo, ma l’ha vinto con la forza della misericordia divina, che è mite, silenziosa, carica di compassione.
Il pontefice ha evocato il momento più drammatico e culminante dell’intera vicenda descritta nel vangelo: l’ultima cena, il tradimento imminente, la tristezza che ha inondato il cuore di ognuno di fronte alle parole di Gesù: “In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”.
Un evento che avrebbe potuto disegnare un epilogo tragico, che avrebbe presumibilmente spezzato per sempre ogni speranza, ha invece sprigionato una luce nuova sul groviglio di contraddizione e dolore che incombeva: “Gesù non denuncia per umiliare. Dice la verità perché vuole salvare. E per essere salvati bisogna sentire: sentire che si è coinvolti, sentire che si è amati nonostante tutto, sentire che il male è reale ma non ha l’ultima parola. Solo chi ha conosciuto la verità di un amore profondo può accettare anche la ferita del tradimento”, ha affermato, rilevando che “la reazione dei discepoli non è rabbia, ma tristezza… E proprio questa tristezza, se accolta con sincerità, diventa un luogo di conversione. Il Vangelo non ci insegna a negare il male, ma a riconoscerlo come occasione dolorosa per rinascere”.
L’esperienza della pace è originata dall’esperienza di un amore che precede ogni desiderio e ogni sforzo umano: “se rinneghiamo l’amore che ci ha generati, se tradendo diventiamo infedeli a noi stessi, allora davvero smarriamo il senso del nostro essere venuti al mondo e ci autoescludiamo dalla salvezza”.
Smarriamo quindi la possibilità di scoprire una responsabilità e un compito che promuove il nostro essere e la nostra intima verità, potenziando nello stesso tempo un riconoscimento dell’altro come fratello chiamato allo stesso destino di salvezza.
In questa profonda riconciliazione, riscoperta come dono di Cristo che per amore di ogni uomo non si è sottratto alla sofferenza offrendo sé stesso fino alla morte in croce, può rinascere la vera pace. E quel fatto è vivo, permane nella storia risuscitando speranza in “uomini nuovi” che rinunciano alle proprie strategie per accogliere, pur con sacrificio, una certezza più grande, una vittoria sul male generata dalla logica di Dio, totalmente altra, pienamente divina e pienamente umana.
Un messaggio intenso, ripreso infine da papa Leone nel saluto ai pellegrini polacchi, presenti all’udienza generale di ieri, durante il quale ha ricordato il gesto eroico di San Massimiliano Kolbe, che proprio il 14 agosto 1941 ad Auschwitz sacrificò la propria vita offrendosi come vittima al posto di un compagno di prigionia. “Vi incoraggio – ha suggerito – a prendere esempio dal suo eroico atteggiamento di sacrificio per l’altro. Per sua intercessione, supplicate Dio di donare la pace a tutti i popoli che vivono la tragedia della guerra”.
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