Negroni e rissa sfiorata in un bar di Pordenone. Un gruppo di ragazzi attacca: “Il nome è razzista”, ennesima deriva woke?

Una semplice ordinazione al bancone, il cocktail più iconico degli aperitivi italiani – il Negroni – e nel giro di pochi minuti si sfiora la rissa tra due gruppi di giovani, sette in tutto, in un locale del centro di Pordenone: è successo la sera del 16 giugno al bar Primavera, nel centro della città friulana, dove il clima si è surriscaldato ben oltre il previsto quando alcuni ragazzi di origine straniera, presenti nel locale, hanno espresso fastidio e indignazione per la denominazione del celebre drink, definendola apertamente “razzista”.



Non sono bastate le spiegazioni né il contesto storico legato al nome – come è noto, il Negroni deve il suo nome al conte Camillo Negroni, nobile fiorentino che nei primi del Novecento chiese al barman del Caffè Casoni di rinforzare il suo Americano sostituendo la soda con il gin – per i ragazzi che si sono sentiti offesi, il solo fatto che il nome del cocktail contenga la parola “negro” sarebbe stato motivo sufficiente per considerarlo discriminatorio, una provocazione inaccettabile, figlio di una cultura che non tiene conto della sensibilità moderna.



Le parole si sono fatte pesanti – secondo quanto riportano alcuni testimoni, i toni si sono accesi in pochi minuti – e se non fosse stato per il pronto intervento della barista Graziella Piccolo, la discussione sarebbe potuta degenerare in una vera e propria rissa; due ragazze presenti nel gruppo hanno cercato a loro volta di placare gli animi, ma la tensione era palpabile e l’episodio si è chiuso solo dopo un lungo scambio di accuse e fraintendimenti. Nessuno è rimasto ferito, ma resta il dato: in un normale lunedì sera, un Negroni ha rischiato di diventare il capro espiatorio di uno scontro culturale.



Il caso Negroni riapre il dibattito sul linguaggio: Pordenone al centro della polemica woke

Dopo il “Negroni-gate” Pordenone la serata è tornata alla calma solo grazie al buon senso di chi, dietro il bancone, ha scelto di intervenire e riportare tutti con i piedi per terra ma il caso del Negroni ha subito superato i confini della città friuliana per approdare sui social, nei commenti e nelle polemiche legate alla cosiddetta cultura woke: c’è chi ha parlato di “nuovo eccesso del politicamente corretto” e chi invece ha visto nella protesta dei giovani stranieri un tentativo, forse maldestro, di denunciare linguaggi che in alcune lingue e contesti possono evocare altre immagini.

Va detto però che, nella storia del cocktail, non esiste alcun riferimento razzista – si tratta semplicemente del cognome di un aristocratico toscano, divenuto per caso simbolo di un drink ormai celebre in tutto il mondo – ma ad ogni modo, nell’era in cui ogni parola viene scomposta, riletta e interpretata in modo opinabile, anche un nome così tradizionale può generare incomprensioni, come se il passato non potesse più convivere serenamente con la nuova sensibilità culturale. Viene dunque da chiedersi: è davvero così pericoloso lasciare le cose come sono, oppure è giusto interrogarsi su ogni segnale che possa, anche involontariamente, ferire qualcuno?

La vicenda ha comunque riaperto la discussione su un tema che da tempo divide e non poco – l’equilibrio tra identità storica e linguaggio inclusivo – e mentre alcuni ironizzano, altri chiedono una riflessione più profonda, meno ideologica e più culturale; in tutto questo, resta ancora da chiarire se si sta  davvero difendendo l’inclusione o se stiamo assistendo piuttosto alla perdita del senso delle proporzioni. Il Negroni, intanto, rimane nel menu del bar Primavera, ma da oggi forse verrà ordinato con un sorriso in meno e qualche sguardo in più.