Elly Schlein accusa il governo di destra-centro di mettere a rischio la democrazia alimentando l’odio. Lo stesso fa Landini. Eppure la soluzione c’è
Elly Schlein, leader del Pd, ha scelto di “fuoriuscire” in Europa per denunciare un clima d’odio (antidemocratico) che a suo parere verrebbe alimentato in Italia dalla destra al potere. Alla stessa maggioranza di governo un vasto fronte politico-mediatico d’opposizione ha attribuito tout court una responsabilità morale anche per l’attentato al giornalista Sigfrido Ranucci.
La premier Giorgia Meloni ha a sua volta stigmatizzato come manifestazione d’odio (anzitutto sessista) l’appellativo di “cortigiana” lanciatole contro dal leader della Cgil, Maurizio Landini. Quest’ultimo è in queste settimane il capopopolo di una vasta agitazione delle piazze antagoniste – talora violente – contro l’odio che Israele avrebbe scatenato a Gaza verso i palestinesi. Ma è il ritorno dell’odio antisemita in Italia ad essere stato rilanciato come emergenza dalla comunità ebraica nazionale.
Un mese fa il vicepremier Antonio Tajani si è detto preoccupato di un clima d’odio a suo avviso dilagante attorno ai cortei guidati da Cgil e altre forze della sinistra, con modalità che non gli parevano dissimili da quelle divenute tragiche negli anni di piombo. Ma il suo parallelo è stato subito negato da Mario Calabresi, ex direttore di Repubblica, figlio del commissario assassinato nel 1972, un omicidio per cui sono stati condannati alcuni esponenti di Lotta Continua.
È stato in quell’occasione che sul Sussidiario è stata richiamata l’esistenza di una commissione parlamentare straordinaria per il contrasto ai fenomeni di odio, istituita sei anni fa in Senato. La presidenza, com’è ampiamente noto, è da allora affidata a Liliana Segre, testimone della Shoah e unica senatrice a vita nominata in un decennio dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La commissione Segre è stata confermata anche nella legislatura corrente, quando però è sembrata protrarsi una sua sostanziale inattività.
La nuova escalation di accuse reciproche di linguaggio d’odio sembrano rendere certamente urgente un ritorno all’iniziativa da parte della commissione: se non in forma compiuta di elaborazione di un disegno di legge di contrasto all’odio – anzitutto contro l’antisemitismo, sulla falsariga di altre legislazioni nazionali in Europa – quanto meno nella produzione di un libro bianco.

Una radiografia aggiornata sulla natura e sull’intensità dei fenomeni di odio in Italia rappresenterebbe già un contributo importante: soprattutto se accompagnato da prime raccomandazioni, frutto di una serie di sessioni pubbliche alle quali sarebbe utile la partecipazione non solo di esperti ma anche di figure di alto livello istituzionale.
Il Quirinale o i presidenti di Senato e Camera non si esporrebbero certo all’accusa di forzare in modo indebito l’autonomia della commissione Segre se esprimessero – con modi propri – un sollecito a quello che si presenta comunque come l’adempimento di una missione istituzionale. Rimane sempre l’alternativa che sia il governo a farsi carico del ruolo classico di promotore di un provvedimento normativo ad hoc.
Negli ultimi tempi un altro grande presidio istituzionale della legalità democratica ha usato i poteri di esternazione – codificati dai costituzionalisti per il Capo dello Stato – per sollecitare Parlamento e Governo a legiferare su vari fronti : è la Corte costituzionale. Proprio negli ultimi giorni ha avuto risalto mediatico una pronuncia della Consulta riguardante i poteri di impiego finanziario per investimento da parte di Regioni in disavanzo.
La sentenza – su ricorso della Regione Campania, per la quale il voto di rinnovo amministrativo è in calendario fra un mese – contesta una totale preclusione per l’intero quinquennio come potenzialmente discriminatoria fra Regioni e fonte di possibili divari infrastrutturali, in pregiudizio al principio costituzionale di eguaglianza sostanziale.
Colpisce, nel richiamo della Corte, un riferimento al “bene comune”, una categoria che non appartiene alla lettera della Carta, anche se certamente presente nella non meno importante “cultura costituzionale” del Paese. Perché la Consulta non può sollecitare il legislatore su quel “bene comune” per eccellenza che è il contrasto all’odio, il peggiore dei “mali comuni”?
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