La prima della Scala 2025 sarà "Una lady Macbeth del distretto di Mcensk" di Šostakovič: una donna si libera da chi la insidia facendo una strage
PRIMA DELLA SCALA 2025 – Quest’anno il Teatro alla Scala apre la sua stagione proponendo l’opera di Šostakovič Una lady Macbeth del distretto di Mcensk.
Scritta nel 1932, fu rappresentata per la prima volta al Maly Teatr di San Pietroburgo nel 1934, il giorno dopo fu presentata a Mosca alla presenza di Stalin. Nonostante il grande successo presso il pubblico, l’opera non trovò il consenso del dittatore. Qualcuno dice che uscì indignato dopo la scena di sesso che conclude il primo atto. Qualcun altro invece afferma che restò fino alla fine, ma più volte sghignazzando apertamente.
Di fatto dal giorno seguente la critica ufficiale stroncò l’opera, accusandola di presentare un tipico dramma borghese, lontano dall’esaltare gli ideali rivoluzionari.
In verità Šostakovič, che aveva condiviso con entusiasmo gli ideali della rivoluzione, aveva immaginato la sua versione di Lady Macbeth per sostenere la fase politica successiva alla NEP. Questa indicava nei commercianti, come Izmajlov, e nei contadini, come Katerina L’vovna, i nemici del popolo. Non a caso la famiglia in cui entra Katerina è quella degli Izmajlov, cognome diffuso in Russia, ma molto di più in Uzbekistan, e i comportamenti abbietti dei suoi componenti non vengono certo lodati.
D’altra parte Katerina, che uccide di seguito il suocero che l’aveva insidiata, e poi il marito per essere libera di unirsi all’amante Sergej e, dopo essere stata scoperta e condannata ai lavori forzati in Siberia, uccide anche Sonečka, una ragazza con cui si era divertito proprio l’amante, non viene presentata da Šostakovič come una semplice criminale. È sì un’assassina, ma si è trovata ad esserlo per la sua condizione di donna repressa, che aspira alla sua libertà in tutti i sensi.
Per questo la critica di Stalin, gestita dal potente Zhdanov, va a colpire chi sembra nostalgico di certi aspetti della pace rivoluzionaria, come ad esempio quello della libertà sessuale, per lasciare il posto a quella repressione sociale da parte di un potere ormai consolidato. E questo potere si scaglia contro i kulaki e i commercianti, cioè contro le due categorie che la NEP aveva esentato dalla statalizzazione.
Del resto lo stesso Šostakovič in una sua nota scrive: “Lavoro alla Lady Macbeth da circa due anni e mezzo. Lady Macbeth è la prima parte di una progettata trilogia dedicata alla condizione della donna in diverse epoche della storia russa”. E ancora più avanti scrive: “L’opera è per me tragica, direi che la si potrebbe definire tragico-satirica. Anche se Katerina è un’omicida ho per lei simpatia”.
Alla luce di queste affermazioni di Šostakovič si può immaginare come l’opera della prima del Teatro alla Scala sarà accolta, anche se con un certo imbarazzo, da un certo pubblico femminista-progressista. D’altra parte sarà forse anche l’occasione di chiarire a chi crede nella necessità di una rivoluzione violenta che è questo che si vuole, anche a costo di trovarsi contro chi, nella sinistra, ha fatto la scelta riformista di operare la rivoluzione attraverso il cambiamento non violento delle istituzioni.
Ovviamente prima di implicare questioni politiche l’opera mette in luce una questione morale: è lecito uccidere il nemico di classe per fare la rivoluzione? Questo non è in contrasto con il pacifismo? Ai nemici, ai corrotti, ai peccatori, non deve essere data la possibilità della redenzione, come ci insegnano grandi esempi della letteratura russa, vedi Dostoevskij?
E una volta che si decide per la rivoluzione, visto come sono andate quelle precedenti, che hanno proprio in Stalin il maggiore esempio, a quale nuovo tipo di società si aspira? Ad una con la dittatura del proletariato, o meglio del nuovo proletariato che oggi sarebbe fatto prevalentemente da una folla di immigrati, portatori di culture e mentalità ben diverse da quelle della tradizione occidentale?
E chi crede, come da parte delle forze politiche nate dalla Resistenza, nella sostanziale bontà di un regime democratico come il nostro, come deve porsi davanti alla prospettiva di una violenza rivoluzionaria?
Come si vede, il grande compositore, per sempre orgogliosamente sovietico, Šostakovič, non poteva certo immaginare che nel 2025 una rappresentazione al Teatro alla Scala della sua opera avrebbe suscitato queste domande, ma noi non possiamo esimerci da farle emergere e cercarne una risposta.
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