La perdita di un amico, il dolore derivante dal ricordo e soprattutto la condivisione di quei momenti di intimità e di quei segreti che la morte ci strappa via: Pupi Avati piange la scomparsa di Antonio Foresti, per tutti “Cicci”, amico non solo dell’82enne regista felsineo, ma pure dell’indimenticato Lucio Dalla, figura indimenticabile del jazz e, come si ricorda nelle ultime ore, pure organizzatore di oltre 150 rassegne. “Un nobiluomo del jazz”, così lo ricorda il Quotidiano Nazionale che ha scelto di lasciare la parola proprio ad Avati per ricordare Cicci Foresti, deceduto avant’ieri nella casa di riposo “Villa Giulia” di Pianoro, dove era ricoverato per via di un attacco ischemico avuto lo scorso mese.
“Ho dentro il vuoto” ha raccontato Pupi Avati al ‘Quotidiano Nazionale’, parlando di Cicci e definendolo “il custode dei miei segreti”. Non solo un collega jazzista della sua band, ma un amico con la “a” maiuscola: è questo il Foresti che emerge dal ritratto che il regista ne fa dalle colonne on line della testata, “la persona con la quale ho condiviso l’interminabile vigilia della mia vita da adulto”. Una vigilia di cui, secondo Avati, oggi si sente fortissima la mancanza e che in un mondo più giusto “si sarebbe dovuta protrarre per anni e anni”. Così non è stato e il tempo, come una tassa, presenta sempre il suo conto: e strappa via anche l’amico del cuore. “Il custode dei segreti del tempo incerto della formazione” prosegue Avati, spiegando cosa sia per lui l’esclusività dell’amicizia e come avviene la scelta.
PUPI AVATI RICORDA CICCI FORESTI, “CERTE AMICIZIE SONO LA PROVA GENERALE DELL’AMORE”
“Nello scegliere l’amico del cuore, nell’individuare il prescelto, quello destinato a restarlo per sempre, c’era un po’ la prova generale dell’amore” continua nel suo pezzo scritto per il quotidiano, spiegando come proprio l’amicizia abbia qualcosa in termini di autenticità e complicità che poco ha da invidiare al sentimento dell’amore tout court e che anzi non ci si può più permettere una volta che “colei si sarebbe sostituita all’amico”. Cicci Foresti era la persona con cui “con lui hai affrontato il mondo sapendolo tutto disponibile alla voracità di quelle notti interminabili”, un tempo in cui esisteva solo la gioia, e la parola paura era bandita. E in quella che era la loro coppia, il ruolo di Foresti era quello del disinibito “quello che si esponeva, che socializzava”. Non solo: fu colui che presentò ad Avati la ragazza che poi avrebbe portato all’altare.
“E da ieri mattina non c’è più” continua, rammaricandosi pure di tutte le peripezie compiute in quella Bologna ingiallita nel ricordo degli Anni Sessanta è oramai “evaporato nel nulla” con la morte di Cicci. Un’amicizia nata grazie alla loro comune passione per il jazz, la collezione di dischi, i festival organizzati nel corso degli anni e i grandi nomi degli artisti americani portati nel capoluogo felsineo e non solo. “Vorrei riaverlo qui Cicci, accanto a me, per dirci come sia difficile questa stagione della nostra vita e di come nessuno ci abbia preparati ad affrontarla” è il rammarico di quando si perde, in vecchiaia, l’amico del cuore: e quando capita non si oscura solo il passato, ma “accade che a rabbuiarsi non sia solo il ricordo ma anche il tuo presente”. Ed è in questo buio cosa resta? Solo “l’illusione infantile” che questo non possa essere accaduto all’amico del cuore, quello che ci si promette di proteggere e continuare a farlo anche ora. Perché, conclude Avati, “la nostra amicizia, come tutte le grandi amicizia, si fonda su quel patto”.