La canzone "Quando sarai piccola" di Simone Cristicchi ha commosso il pubblico del Festival di Sanremo 2025
Cosa resta da fare ai cantanti? La canzone onesta, verrebbe da rispondere modificando ad hoc la celebre risposta di Saba. Una canzone onesta, che parli della vita vera, della carne e del sangue, degli affetti forti e quotidiani. Una canzone onesta fatta di tanta poesia, ma che sia capace di farti pensare o addirittura di commuoverti perché capisci davvero quello che vuol dire, lo senti tuo, riesci ad immedesimarti.
Una canzone che non sia un profluvio di parole messe in croce con metafore e rime che sono solo un pessimo esercizio di retorica. Una canzone che non finga sentimenti, che non sia una recita costruita con un occhio sempre puntato al marketing (e non farò riferimenti espliciti).
Una canzone onesta come Quando sarai piccola di Simone Cristicchi. Roba nuova perché ormai rara a Sanremo. Tanto che le standing ovations riservate al cantante, con primi piani sulla commozione dei presenti all’Ariston, sono la novità più imprevista di questo festival. Anche perché quella commozione e quelle lacrime si sono di sicuro ripetute nelle case di molti italiani incollati alla tv.
Davanti a quel piccolo gioiello di canzone si prova qualcosa che ti tocca nel profondo, sia che tu venga da un’esperienza simile, sia che tu possa solo immaginare quell’esperienza. Versi come “quando sarai piccola mi insegnerai davvero chi sono”, o “è ancora un altro giorno insieme a te,/ per restituirti tutto quell’amore che mi hai dato”, o ancora “ci sono sguardi pieni di silenzio/ che non sai descrivere con le parole”, sono come fotografie che ti passano davanti agli occhi con tutta la loro verità e acquistano un senso universale.
Ma per scrivere una canzone così occorre una carriera di cantante coerente e lontana dai palcoscenici che obbediscono solo a logiche commerciali, a ricerche di mercato, ad algoritmi, alla creazione di personaggi studiati a tavolino e incasellati nelle diverse categorie per i diversi target da raggiungere. Occorre scrivere sotto ispirazione e quando se ne sente la necessità, in modo libero, senza altre preoccupazioni, senza lo stillicidio della monetizzazione. Occorre un artista vero, e prima ancora un uomo vero, non una figurina o, spiace dirlo, una marionetta eterodiretta (e purtroppo se ne vedono molte).
Davanti alla canzone di Cristicchi mi lasciano un po’ basito certi giudizi sul suo look o sulla sua voce: è come puntare l’attenzione sul dito invece che sulla luna. Bisognerebbe gridare: fermi tutti! Fermiamoci a pensare, a commuoverci, ad ascoltare davvero! Ma anche questa predisposizione è ormai merce rara per un pubblico che si accontenta del motivetto da sottofondo che si brucia nel giro di qualche mese, se non di qualche settimana.
Quella di Cristicchi è una canzone d’amore, e che amore! Ma questa parola ricorre una volta sola e associata al verbo “restituire”, in un contesto che riconosce un dono. Non siamo abituati a sentire celebrato un amore così. A Sanremo si cantano da sempre le vibrazioni, le reazioni interiori, gli amori falliti o sognati, i brividi, in una prospettiva in fondo self centred, autoreferenziale.
Di solito non c’è l’amore dono, l’amore carità, quello alto e disinteressato, incentrato sull’altro anche col sacrificio che questo comporta, quello che ci serve ogni giorno per vivere. Quella di Cristicchi è una canzone “impegnata”, ma non di quelle che fanno la predica, che parlano dei “problemi”, che scoppiano di un altro tipo di retorica, quella che sa di aglio di bassa cucina. No, è impegnata perché, appunto, onesta, semplicemente coinvolta con la vita, sofferta come la vita, commossa dalla vita.
Dunque la reazione del pubblico, sorprendente, onesta anch’essa, sincera e immediata, stupisce e coinvolge in modo inaspettato. Questa reazione dice che c’è ancora una speranza e che addirittura ci si può riaffezionare a una manifestazione canora che finalmente, anche solo per pochi istanti, esce dal solito pacchetto confezionato dal circoletto magico autoreferenziale del business musicale e si riallaccia a quello che abbiamo sempre pensato debba essere la canzone italiana, la grande canzone italiana.
Può tornare ad imporsi una canzone così rivoluzionaria in cui il testo e la musica riescono a fondersi e a corrispondersi, acquistando forza l’uno dall’altra e viceversa? Può tornare in auge questo modo di comporre, dopo tanta attenzione dedicata solo al look, alle pose, alle coreografie, a tutto quello, insomma, che con la canzone ha a che fare solo in modo tangenziale? Siamo di fronte a una possibile svolta? Il mercato segue i gusti del pubblico. I prodotti saranno bassi se sono basse le richieste della gente. Ma stavolta il “popolo di Sanremo” ha lanciato un segnale inequivocabile, che va colto.
Comunque, alla fin fine, il problema sarà sempre e solo quello: artisti onesti che fanno una canzone onesta, che mirano all’essenziale, che hanno davvero un’esperienza da raccontare, qualcosa da dire che nasce dalla vita. Forse quanto sta accadendo a Sanremo darà più forza e coraggio a chi vive in questo modo la propria creatività. Forse anche l’industria della canzone comincerà a capire che è arrivato il momento di cambiare.
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