Raz Zimmt: il regime di Teheran è ancora solido e la guerra, più che indebolirlo, ne sta rafforzando la coesione interna e la narrazione pubblica

Raz Zimmt, uno dei maggiori esperti israeliani di Iran, è piuttosto sicuro nel leggere gli effetti reali dell’operazione israeliana: per quanto colpita, la Repubblica Islamica non è crollata, anzi, sembra addirittura rafforzarsi, perché, per ammettendo che il danno alle infrastrutture nucleari c’è stato, secondo lui non è stato “critico”, e soprattutto l’impianto di Fordow – il più sensibile, quello più difficile da raggiungere – è rimasto intatto.



L’obiettivo israeliano, ha ricordato, non era mai stato la distruzione totale del programma nucleare, ma piuttosto un ritardo strategico, un rallentamento, possibile colpendo siti essenziali come Natanz o le figure centrali tra scienziati e generali; la scelta di Israele è stata determinata da un’intelligence definita “d’oro”, un lavoro di anni tra spionaggio di alto livello e infiltrazioni sul campo.



E così, nella notte tra il 12 e il 13 giugno, Gerusalemme ha deciso di agire: attacchi mirati hanno ucciso ufficiali di vertice della Guardia Rivoluzionaria e colpito centri militari sensibili vicino a Teheran, oltre alla fabbrica di UAV gestita in incognito da agenti del Mossad, ma nonostante l’effetto choc, Teheran ha tenuto il punto. Anzi – dice Raz Zimmt – il regime non mostra cedimenti interni, ma compattezza, vitalità, e una capacità di reagire anche sul fronte dell’opinione pubblica, che pur se ostile alle autorità, non si è trasformata in un’opposizione attiva.

Sembra quasi che le immagini dei bombardamenti israeliani nei quartieri residenziali abbiano prodotto l’effetto opposto ed invece che indebolire il consenso interno, stanno rafforzando un senso di unità e di resistenza nazionale, e mentre l’Occidente si chiede con timore cosa potrà accadere, la narrazione mediatica iraniana fa leva proprio su questo, sull’idea che la Repubblica Islamica sia in grado di colpire, resistere e restare in piedi. Non a caso, l’apparato comunicativo di Teheran ha già amplificato ogni crepa provocata dai danni inflitti da Israele per ribadire la sua capacità di confronto diretto, anche contro uno degli eserciti più tecnologici del mondo.



Raz Zimmt: “Israele rallenta l’Iran, ma non lo ferma e la guerra potrebbe spingerlo ancora oltre”

Raz Zimmt, ricercatore presso l’INSS e responsabile del programma Iran presso l’Università di Tel Aviv, ha anche ribadito che l’Iran – paradossalmente – potrebbe reagire all’attacco israeliano con un rafforzamento della sua volontà nucleare, di conseguenza più viene colpito, più potrebbe voler accelerare; ma ad ogno modo – aggiunge – fare ora una scelta in direzione dell’arma atomica sarebbe estremamente rischioso per Teheran, considerata la vasta presenza dell’aviazione israeliana e la profonda penetrazione dell’intelligence nei centri nevralgici del programma nucleare iraniano.

Una decisione simile, ha spiegato, potrebbe addirittura convincere gli Stati Uniti a intervenire direttamente e per questo l’Iran – almeno per ora – potrebbe optare per una strategia più prudente, evitando di forzare una svolta nucleare immediata ma mantenendo aperta quella porta per il futuro. Si tratta, secondo Zimmt, di un “dilemma molto complesso”: da un lato, l’attrito militare che cresce spinge l’Iran a voler resistere con forza, dall’altro, la consapevolezza che ogni mossa sbagliata potrebbe portare a un’escalation devastante lo costringe alla prudenza.

Sul campo intanto le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: centinaia di missili balistici iraniani hanno colpito obiettivi civili in Israele, da Gerusalemme a Tel Aviv passando per Haifa, causando almeno 10 vittime e feriti a centinaia, con danni enormi ad abitazioni e infrastrutture, una rappresaglia pesante, che sembra voler comunicare che l’Iran non è disposto a restare fermo. Intanto, da parte americana, Donald Trump – interrogato sul possibile coinvolgimento diretto degli Stati Uniti – ha ammesso che non lo esclude, lasciando intendere che Washington potrebbe unirsi alla campagna, se necessario, o eventualmente sostenere una mediazione con la Russia.

La guerra, dunque, è entrata in una fase nuova, dove il confine tra deterrenza e provocazione è sempre più sottile e dove, come dice lo stesso Raz Zimmt, Teheran si trova ora tra due strade: o continuare una campagna militare per logorare Israele senza cedere nulla, oppure sedersi di nuovo al tavolo dei negoziati, sapendo però che un possibile accordo significherebbe dover rinunciare, ancora una volta, alla volontà di arricchirsi ulteriormente d’uranio sul proprio suolo.