I lavoratori della ristorazione si preparano a chiudere il 2023 con un portafoglio un po’ più pesante. A dirlo sono le stime dell’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio che ha provato a quantificare l’effetto dell’imposta agevolata, prevista dalla Legge di bilancio 2023, sulle mance concesse dai clienti del fuori casa.
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Lo scorso anno era infatti stata introdotta una nuova disciplina sulle liberalità corrisposte a seguito di una “apprezzata” erogazione del servizio, che in precedenza erano ricondotte alle regole generali previste per il reddito da lavoro dipendente e, quindi, al pagamento dei relativi contributi e della corrispettiva tassazione Irpef in base all’aliquota di riferimento del singolo lavoratore.
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Nel 2023, invece, la Legge di bilancio ha previsto l’introduzione di un’aliquota agevolata pari al 5% sulle mance percepite dai lavoratori delle strutture ricettive e degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande. Seppur con qualche distinguo. La tassazione ridotta si applica infatti solo a chi ha registrato nel periodo d’imposta precedente un reddito non superiore a 50.000 euro, all’interno del quale vanno ricompresi anche eventuali redditi di lavoro dipendente conseguiti da attività lavorativa diversa da quella svolta nel settore turistico/alberghiero e della ristorazione. E ancora, si applica solo entro il limite del 25% del reddito percepito nell’anno per le relative prestazioni di lavoro.
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Ebbene, secondo le stime dell’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio, questo meccanismo agevolato dovrebbe avere generato, nella sola ristorazione, un ammontare complessivo di mance per un valore di circa 2 miliardi di euro l’anno. Il che, tradotto in altri numeri, significa, in media, poco meno di 2.000 euro per ciascuno dei 980mila lavoratori del settore. Una vera e propria mensilità aggiuntiva – fa notare la stessa Fipe – visto che questa somma rappresenta il 15% del totale delle retribuzioni (pari a oltre 13 miliardi di euro) percepite nel 2022 dai lavoratori, sia full time che part time, di questo comparto.
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