Quarant'anni fa al Festival di Venezia venne presentato anche il film "Ritorno al futuro", diventato in breve tempo un cult
Sostengono gli esperti di astrofisica che i viaggi nel tempo sono teoricamente possibili. Ma soltanto quelli nel futuro, in base ai loro calcoli; mentre risulterebbero, per meglio dire risultano, impossibili quelli nel passato. Anche per via dei paradossi che si verrebbero a creare, il più citato dei quali è il cosiddetto paradosso “del nonno”: possiamo noi andare nel passato in un’epoca precedente la nostra nascita, quando nostro nonno era giovane e non aveva ancora conosciuto nostra nonna, e sopprimerlo, impedendogli di conoscere la nonna suddetta e di dare così vita alla progenie? No di certo, per evidenti motivi – diciamo così – di consecutio temporum.
Un vero peccato, visto che i viaggi nel passato sarebbero molto ma molto interessanti, più di quelli nell’ignoto di un futuro probabilmente ipertecnologico, scomodo e imprevedibile, almeno nella considerazione dei più. A chi non piacerebbe vedere di persona, dal vivo, il proprio personaggio storico preferito? Assistere alla firma di qualche famoso trattato come allo svolgersi di una qualche altrettanto famosa battaglia, o gara sportiva, o evento mondano, o altra roba del genere?
Per nostra fortuna, la letteratura e il cinema ci vengono in soccorso. Essi sono infatti piene di storie di viaggi nel tempo, a cominciare da The Time Machine di H. G. Wells, pubblicato nel 1895, e trasposto più volte al cinema (due film direttamente tratti dal racconto di Wells, più alcuni altri ad esso liberamente ispirati).
E una delle più affascinanti e ben congegnate delle storie suddette la troviamo nel film di cui ricorre oggi il quarantesimo anniversario della partecipazione alla Mostra Cinematografica di Venezia: Ritorno al futuro (Back to the Future), di Robert Zemeckis. Prodotto da quell’ineffabile creatore di sogni su pellicola che risponde al nome di Steven Spielberg, il film fu presentato nel 1985 alla rassegna “Venezia Giovani”, riscuotendo immediato interesse. Sarebbe poi uscito nelle sale italiane nell’ottobre successivo.
Ritorno al futuro racconta di un viaggio dal 1985 al 1955 avvenuto per sbaglio, per curiose coincidenze del destino, e del tentativo, alla fine riuscito, di ritornare al punto – per meglio dire, all’anno – di partenza. Contiene inoltre un qualcosa di simile al ricordato paradosso “del nonno”, ma di taglio pudicamente edipico. Infatti, il ragazzo protagonista del viaggio, Marty McFly (Michael J. Fox), incontra i propri genitori adolescenti, e per imponderabilità del caso, si intromette nella loro conoscenza: la sua futura madre Lorraine si invaghisce di lui anziché del futuro padre George.
Così, bloccato nel passato, Marty va anche alla ricerca dello scienziato doc Emmett Brown (Christopher Lloyd), suo amico nel 1985 e inventore della macchina del tempo (una fuoriserie marca DeLorean adattata), lo trova e lo convince a farsi aiutare per ritornare nel futuro.
Pertanto, l’intero film ruota attorno al tentativo di Marty di far innamorare nuovamente i propri genitori, per evitare di dissolversi nel nulla (come avviene nella foto di lui e dei fratelli che si è portato dietro), e del doc Brown di trovare il modo di far funzionare la macchina del tempo, che lui stesso ha costruito, ma trent’anni dopo.
In questo contesto abbondano, come naturale che sia, le scene memorabili. Per esempio, quella in cui Marty, alla serata danzante “Incanto sotto il mare”, dove i suoi futuri genitori si baciano per la prima volta, suona un pezzo alla chitarra in stile Jimi Hendrix, lasciando tutto il pubblico stupefatto, e chiosando “… forse non siete ancora pronti per questo, ma ai vostri figli piacerà”. Oppure, ovviamente, la sequenza finale con il fulmine che dà la giusta scossa di energia alla macchina del tempo, necessaria al ritorno di Marty nel futuro del 1985.
Se nella storia i paradossi spazio-temporali sono in agguato dietro ogni angolo, le licenze nel doppiaggio italiano hanno generato invece un evidente anacronismo, del quale mi ero sempre domandato la spiegazione: eccola in sintesi. Lorraine crede che Marty si chiami Levi Strauss, poiché veste capi con quella firma, ma nell’originale i capi firmati che Marty indossa sono di Calvin Klein, marchio effettivamente sconosciuto negli Usa del 1955. Al contrario dei jeans e degli altri capi della Levi’s, già vestiario di largo consumo negli Stati Uniti degli anni Cinquanta.
Inevitabili, visto il grande successo di pubblico, i sequel. In questo caso però, più che di sequel di cassetta, si tratta di due successivi film (Ritorno al futuro parte II e parte III, rispettivamente del 1989 e del 1990) che completano la vicenda di Marty e del suo amico doc Brown, sia in direzione del tempo futuro al 1985 che di un passato precedente al 1955.
In definitiva, ricordiamo oggi Ritorno al futuro come un film diventato da subito un cult, per merito soprattutto dell’intrinseco fascino che le storie di viaggi nel tempo passato contengono in sé. Storie che, come detto, trovano adeguata collocazione solo in letteratura o al cinema, e soprattutto in quest’ultimo, naturale luogo di fantastiche visioni fiabesche.
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