In un ambiente, quello della musica d’autore attuale, o se volete chiamatelo ancora indie, che si contraddistingue per la noia, la tristezza evocata ma chissà se vissuta davvero, la mancanza assoluta di idee, personaggi con poca anima e molta ambizione, Roberta Finocchiaro, 25enne, è qualcosa che ci fa ritrovare la voglia di ascoltare musica da cantautore italiana. E vabbè che lei canta in inglese, registra a New York con colossi della musica rock come Steve Jordan (per dirne uno, coproduttore e leader insieme a Keith Richards degli X-pensive Winos) ma conservando l’anima vivace, frizzante della sua Sicilia, il tutto con un linguaggio funk soul ricco di groove.
Chitarrista molto dotata, ormai già piuttosto nota livello nazionale con due dischi alle spalle, scoperta da Simona Virlinzi, sorella del mai dimenticato produttore discografico catanese Francesco Virlinzi. Il primo album “Foglie Di Carta” è del 2016, ispirato alle sonorità americane blues e folk. A settembre 2017 entra negli studi della storica famiglia di Sam Phillips a Memphis (Tennessee) e inizia le registrazioni del suo secondo album che vanta la partecipazione di importanti musicisti americani tra cui il batterista Stephen Chopek e il bassista David LaBruyere, entrambi produttori artistici dell’album. A dicembre 2018 esce il suo secondo album di inediti Something True. Dai tenui sapori folk pop, mostra tutta la sua classe. Con il terzo album, il suo disco musicalmente più ricco e il cui titolo è un programma di positività e fiducia, Save lives with the rhythm, un nuovo passo in avanti a esplorare nuove fonti sonore.
Voce piena di colori della sua terra, nei dischi precedenti si presentava con un atteggiamento più cantautorale e intimista ed era facile avvicinarla a Norah Jones. Adesso è tutto sprint e ritmo, anche se conserva la sua purezza cantautorale ad esempio nella bella Where you breathe con interventi di violino lussureggianti. Personalmente in questo disco credo che ricordi la bravissima Edie Brickell, ad esempio in Hope. Se l’americana si rifaceva più a Bob Dylan e ai Grateful Dead, Roberta si rifà all’età d’oro del funk degli ani 70: “Ho vestito le mie poesie con la musica e le ho trasformate in canzoni. Ho suonato riff di chitarra che contenevano già dentro tutte le parole. Guardo al futuro costruendo sempre di più la mia personalità musicale, unendo due elementi fondamentali per la mia musica: ossia “la vita e il Groove” dice lei stessa.
Il disco è una piacere dall’inizio alla fine, dalla traccia di apertura, funk jazz dominato dal pianoforte, dalla voce e da un assolo di acustica tra Steelye Dan e la California dei 70s. Piace poi e molto Time to Groove, incalzante omaggio agli Chic, maestri innovatori del funk. Inizio pianoforte e voce che ricordano un’altra grande signora del jazz vocale, Laura Nyro, e poi via con un groove irresistibile e un gran bell’assolo di chitarra. Classe pura in Made for the Dreames, ballatona jazz con incantevoli tocchi di chitarra. Il disco si chiude con due brani che si staccano dal clima creato in precedenza. Pictures in the Rain è aperta da una fisarmonica (suonata dal nonno Gino Finocchiaro) che suona come se fossimo nelle strade di Catania, a ballare, mentre Roberta ci porta nella colonna sonora di un immaginario film d’amore. The Way, invece, è una incantevole ballata acustica vecchio stile, pop folk di classe, da suonare a notte fonde per non sentirsi soli.
Un disco che ci fa uscire dai ghetti della musica italiana, per andare incontro al mondo.