Il mercato del lavoro italiano recupera terreno nei confronti del resto d'Europa, ma resta il grosso problema dei salari
Nel confronto con gli altri Paesi europei, il mercato del lavoro italiano recupera posizioni, ma parte dal fondo. Lo si può verificare leggendo il report che Eurostat ha pubblicato il mese scorso con una sintesi dei principali dati dei Paesi membri.
Nel capitolo numero 1, persone e società, troviamo la sezione sul mercato del lavoro. Facciamo un riassunto per punti:
– tasso di occupazione fra 20 e 64 anni – media europea al 75,8%, Italia ultima col 67,1%;
– variazione del tasso di occupazione – in Europa +0,5%, in Italia crescita più alta della media;
– disoccupazione in Europa al 5,9%, in Italia poco sopra la media;
– variazione della disoccupazione – Europa -0,2%, Italia -1,2%;
– gender gap salariale- in Europa le donne guadagnano il 12% meno degli uomini, in Italia solo il 2,2% in meno, ma non è una buona notizia, perché tutti guadagnano poco;
– potere d’acquisto del salario minimo mensile, in Germania circa 1.992 euro, in Estonia 878 euro. In Italia non c’è, molti dicono che il problema è un altro.
Come dicevamo all’inizio, si parte del fondo, ma si cresce, a parte un grosso problema che si chiama salario.
Le ripercussioni si vedono chiaramente sulle condizioni di vita: le persone a rischio di povertà in Europa si attestano al 21%, in Italia poco sopra; il 30% delle persone in Italia e in Europa non sarebbero in grado di affrontare una spesa inattesa; il 27% della popolazione europea non si può permettere una settimana di ferie, in Italia la percentuale supera il 30%; il potere d’acquisto degli italiani è al di sotto della media europea.

Se guardiamo all’equità della distribuzione del reddito, Eurostat fornisce un’interessante statistica: il rapporto S80/S20. Si tratta del rapporto fra il reddito del quinto di popolazione che ha i redditi più alti rispetto al quinto che ha i redditi più bassi: più alto è, più disuguaglianze ci sono.
In Europa il rapporto è a 4,7, vale a dire che mediamente il 20% della popolazione con redditi disponibili guadagna 4,7 volte di più di quella parte di popolazione con i redditi disponibili più bassi. Per l’Italia nel 2024 l’indicatore si attesta a circa a 5,5, il quarto più alto d’Europa, dove i Paesi con maggiori disuguaglianze sono Bulgaria, Lituania e Lettonia.
Cos’ha portato il Paese a questi livelli di disuguaglianza in presenza di una caduta complessiva dei redditi negli ultimi 20 anni? Inutile cercare responsabilità nei Governi di oggi o in quelli di ieri, esercizio utile solo per qualche dichiarazione lampo al TG della sera. La riflessione su come vogliamo crescere e su cosa puntare per crescere dovrebbe essere un patrimonio collettivo, da affrontare come un progetto collaborativo di lungo periodo, piuttosto che uno sprint comunicativo.
A questa riflessione manca una materia prima essenziale: a cosa servono le politiche che abbiamo fatto? Hanno avuto un impatto sulla vita delle persone? Quanto costano i fallimenti delle politiche del lavoro e dei redditi? Se non riusciamo a far guadagnare un salario giusto, i costi di intervento a favore delle persone si scaricano su assistenza sociale e sistema sanitario. Che ruolo hanno società e sussidiarietà nel presente delle persone?
Tutte domande riaperte dai confronti internazionali, da affrontare tutti i giorni.
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