Settimana densa di appuntamenti per la Meloni, a cominciare dalla conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina. I molti fronti della premier

Ci vuole l’abilità di un funambolo per muoversi sulla fune sospesa dell’attuale complicatissima scena internazionale.

Giorgia Meloni è convinta di averla, quell’abilità, o, quantomeno, sembra intenzionata a dimostrarlo. Non ha scelta, del resto; non è più tempo di bianco e nero: o di qua o di là.

Questa settimana avrà almeno due scadenze cruciali, solo in apparenza separate. La prima è la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, prevista per giovedì e venerdì a Roma; la seconda è il termine posto da Trump per la trattativa sui dazi con l’Unione Europea, fissata per mercoledì. Sullo sfondo le trattative per la tregua a Gaza, nelle quali la premier italiana non può non entrare, perché tutti i piani si intersecano.



Sul versante mediorientale l’attivismo diplomatico di Palazzo Chigi è innegabile. Fra venerdì e sabato Meloni ha sentito Trump, Netanyahu e l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al Thani. In tutti i colloqui la premier, secondo i suoi collaboratori, ha richiamato l’urgenza di giungere a un cessate il fuoco a Gaza, che permetta il rilascio degli ostaggi ancora in vita e l’accesso pieno e senza ostacoli della popolazione civile all’assistenza sanitaria.



Non è che l’Italia possa fare di più che supportare la difficile mediazione qatariota: su quel quadrante la nostra influenza è limitata, e condizionata dalla vicinanza politica fra Meloni e Netanyahu. Eppure bisogna esserci.

Per il nostro Paese la partita ucraina è molto più importante e delicata. La conferenza di giovedì e venerdì è la quarta di questo genere, l’organizzazione è stata affidata all’Italia quasi un anno fa.

Ma essere Paese ospitante non basta, per almeno due ragioni. La prima è che la guerra continua, e non accenna ad avere termine. Difficile, quindi, essere incisivi parlando di una ricostruzione che non si sa quando potrà iniziare sul serio.



La seconda ragione è che il campo occidentale è profondamente diviso sul sostegno all’Ucraina. Trump è in evidente difficoltà, i suoi tentativi di indurre Putin alla ragionevolezza sinora si sono rivelati fallimentari, al punto da costringerlo – per ora – a una quasi completa marcia indietro sullo stop degli aiuti militari a Kiev. Gli europei, poi, procedono in ordine sparso, con Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia a guidare il fronte dei cosiddetti “volenterosi”. Meloni sin qui ha fatto un punto di forza della sua posizione il non far parte dei volenterosi. Ha convinto a essere a Roma non solo Zelensky, ma anche von der Leyen, Merz e il polacco Tusk (che organizzerà la conferenza del prossimo anno). Ma la premier rischia che l’assise romana sia sorpassata, per importanza, dalla videoconferenza – cui parteciperà lei stessa – prevista lo stesso giorno proprio dalla coalizione dei volenterosi. Le due iniziative potrebbero finire per intralciarsi, al punto che il prezzo politico più elevato potrebbe finire per pagarlo proprio Meloni.

Per di più, la leader del centrodestra deve fare i conti con un’opinione pubblica tutt’altro che convinta dell’opportunità di continuare a spendere per sostenere l’Ucraina. Lo stesso dicasi per Salvini, scettico verso il piano di riarmo, a cominciare da quello europeo.

La strada, dunque, è stretta e densa di incognite. Non è facile evitare l’isolamento in Europa senza rinnegare del tutto i rapporti stretti con Donald Trump. A Meloni servirà tanto sangue freddo, unito a una buona dose di creatività e improvvisazione.

Sinora la premier ha tenuto sempre il punto, sino ad arrivare quasi allo scontro frontale con Macron. Nelle ultime settimane qualche canale di dialogo con l’Eliseo si è riaperto. In fondo, l’Europa è solo una somma di debolezze. E tutti farebbero bene a ricordarselo, specie in una settimana decisiva per evitare una guerra doganale fra UE e Stati Uniti, visto che le trattative languono, e a Bruxelles comincia a serpeggiare lo scetticismo sulla possibilità di un accordo.

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