I Paesi NATO hanno detto sì all’aumento della spesa militare fino al 5% del Pil entro il 2035. Tump rimpingua l’industria Usa, Europa sconfitta

I Paesi NATO hanno detto sì all’aumento della spesa militare fino al 5% del Pil entro il 2035 per garantire la reciproca sicurezza di fronte alla minaccia russa e al terrorismo. Al termine Trump parla di “vertice fantastico”, la Meloni di “costi sostenibili”.

Ma la verità viene dagli analisti di ABN Amro, banca d’affari olandese proprio come il politico che da attuale segretario generale della NATO ha diligentemente svolto il suo compito: l’ex premier Mark Rutte.



Secondo gli economisti dell’istituto olandese l’obiettivo del 3,5% – la componente di spesa prettamente militare – è “irrealistico per la maggior parte dei Paesi” e “gli aumenti più consistenti della spesa per la difesa saranno limitati principalmente alla Germania”.

“Davvero una bella mossa quella di ricreare un enorme esercito tedesco nel cuore dell’Europa” è il commento di Agustín Menendez, docente di diritto pubblico comparato e filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid.



Ecco perché lo statement finale del summit nasconde una vera Caporetto per gli europei. Sia nel breve periodo che in prospettiva.

Professore, la sua prima impressione?

Il modo in cui è stato impostato il vertice e i suoi esiti rappresentano una sconfitta per tutti noi europei.

Per quale motivo?

La comunicazione politica, a trazione NATO (Rutte) e UE (von der Leyen), insiste da mesi sul bisogno impellente di aumentare la spesa in difesa e sicurezza per fare dell’Europa – che vuole dire essenzialmente UE più Regno Unito – una entità se non sovrana quando meno autonoma. Di primo acchito, sembrerebbe che questa “volontà” abbia portato alla decisione di fissare come obiettivo una spesa militare del 3,5% del PIL, più l’1,5% del PIL in spesa di sicurezza in senso lato.



Infatti è il risultato nero su bianco del vertice.

Sì, ma allo stesso tempo si è fatto trapelare che questa decisione era intenzionata a “placare” Trump. Strana forma di diventare sovrani. In più, si badi, si deve accontentare non gli USA, ma Trump in persona. Anche essendo benevoli, questa mossa evidentemente servile ha trovato la sua giustificazione nell’evitare il disengagement degli Stati Uniti.

Come ribadito da Rutte a inizio del summit.

Esatto. Ma con Trump che ha spiazzato tutti mostrando “dubbi” sulla chiarezza del fondamentale articolo 5 del Trattato NATO. Tanta pasión para nada.

A proposito di Rutte, come commenta il suo imbarazzante messaggio personale a Trump e reso pubblico da quest’ultimo?

È una “convenzione” costituzionale della NATO che i segretari generali siano europei. Sul presupposto, però, che servano l’interesse degli Stati Uniti; ed è molto più semplice fare l’interesse statunitense che non quello generale europeo, che richiederebbe istituzioni e processi decisionali che semplicemente non esistono. Non a caso il rapporto USA-Europa è stato definito come un “empire by invitation” nel quale gli americani fanno da “principe straniero”. Detto questo, credo che Rutte sia il primo segretario generale a riferirsi agli “europei” come se lui non lo fosse. Si veda a tale proposito la mail pubblicata da Trump.

Diciamocelo: un servilismo che ha superato ogni immaginazione.

Ma è la stessa convinzione, manifestata da altri leader europei prima di lui, che la maniera di tenere a bada Trump sia dispiegare al massimo una sorta di zelo servile nei suoi confronti. Se questo sia compatibile con un minimo di dignità lascio decidere ai lettori.

E quel “daddy” riferito a Trump? “Ti sei comportato come un paparino con Israele e Iran”, ha detto l’ex premier olandese.

È un riferimento che rivela una mentalità certamente inadatta a sistemi politici democratici. Neanche Barroso raggiunse un livello tale di adulazione smodata quando fu ospite del famoso vertice delle Azzorre nel 2003. Rutte dimostra un grado ancora più elevato di inconsapevolezza.

Perché la chiama così?

Perché L’Aia è la città che simbolizza nel mondo la pace attraverso il diritto. Scegliere questo scenario per agire da cameriere che proclama che la NATO è diventata più “letale”, è semplicemente osceno.

Eravamo rimasti alle aspirazioni dell’Europa e alla necessità di evitare il disengagement americano.

Procedendo in questo modo si riconosce che noi europei non siamo né sovrani né autonomi. E non si prospetta quando lo saremo. È per questo che siamo costretti a placare gli USA di Trump, nelle stesse ore nelle quali il commander in chief sta facendo a pezzi quel che rimaneva non soltanto del diritto internazionale, ma anche del valore delle promesse fatte nelle relazioni internazionali. Si pensi al genocidio in streaming a Gaza, e non solo.

Il metodo-Trump ormai è chiaro. È lo stesso in tutte le situazioni: sei mio amico se fai ciò che io pretendo. L’obiettivo?

L’amministrazione Trump si caratterizza per la fluidità dei mezzi e un’impreparazione evidente nel comprendere la gravità sostanziale dei problemi. In tanti casi è dovuto a una scarsa formazione. Però appare puntualmente coerente nella protezione di specifici interessi materiali. In questo caso dei produttori di armi.

I riflettori hanno illuminato il riarmo NATO e lasciato in ombra il riarmo europeo (Readiness 2030) sul quale insiste von der Leyen. In che modo dovrebbero tenersi insieme questi due “riarmi”?

Alcuni leader europei sembrano credere che il riarmo NATO imposto da Trump sia l’occasione imperdibile per la “riconversione” industriale – così in Germania – o la “reindustrializzazione” in Francia. È questo il succo del piano “Readiness 2030”. Ed è per questo che il 5% fa comodo a tutti. Si ritiene che faccia girare così tanti soldi da accontentare tutti. Che sia realistico è un’altra questione. Intanto sono solo numeri, no? In ogni caso, basta leggere la nota ABN Amro pubblicata questo pomeriggio (ieri, nda) per concludere che soltanto la Germania è in grado di arrivare a quelle cifre. Davvero è una grande idea ricreare un mega-esercito tedesco nel cuore dell’Europa?

Ha citato Germania e Francia, ma ci sono altri due casi da menzionare. Il primo è l’Italia. Meloni in Senato ha detto no alla difesa comune europea, ma ha detto sì all’aumento delle spese NATO, sulla base del principio – da lei dichiarato – “si vis pacem para bellum”. Ora, è vero che “chi pecora si fa, il lupo se la mangia”, ma è l’approccio giusto?

Mi viene in mente l’incipit di Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo”. Ogni leader europeo è infelice, ma lo è a modo suo. L’invocazione del famoso adagio latino da parte di Meloni nasconde la sua incapacità – condivisa con gli altri leader europei – di non fare altro che tirare a campare, che forse è il modo più sicuro di finire contro il muro.

In che senso?

Siamo sicuri che la guerra con la Russia sia inevitabile? Siamo certi di aver fatto una diagnosi corretta di come siamo arrivati alla escalation successiva all’invasione russa dell’Ucraina? Perché non pensare a un nuovo ordine europeo, Russia inclusa – che di sicuro sarebbe più propizio a lungo termine ad un’evoluzione della Russia verso l’ideale di una vera democrazia costituzionale – invece che una seconda o forse terza guerra fredda?

L’altro Paese è la Spagna. Sánchez è stato per 10 giorni l’eroe solitario del no al 5%, l’apripista in grado di far saltare gli schemi. Poi abbiamo letto che ha firmato lo stesso documento degli altri. Cosa può dirci in proposito?

Sánchez è in una situazione politica delicatissima. Scandali di corruzione, legati in parte alla fretta di spendere i soldi del Next Generation UE, gli stanno facendo perdere il supporto dei suoi alleati e della base elettorale. La complicatissima aritmetica del governo di coalizione rischia di diventare semplicemente impossibile e le elezioni anticipate sono uno scenario sempre più probabile. In questo contesto, Sánchez ha cercato di recuperare fiato opponendosi al 5%, che sa di non poter accettare senza fare esplodere il governo, e il motivo è che è impossibile aumentare le spese militari senza rottamare lo stato sociale. Allo stesso tempo, si è felicitato dell’accordo generale.

Ma c’è la base giuridica per una “eccezione” spagnola?

Rimane ancora poco chiaro. Il governo spagnolo si appella al fatto che le quote percentuali del 3,5+1,5 sono state accordate dagli “alleati” NATO, non da “noi dirigenti europei”. Questa sfumatura legale sembra essere considerata un fondamento legale per concludere che la Spagna non è vincolata per gli indicatori numerici, ma soltanto per le “military capabilities”, che sarebbero raggiungibili a costi più contenuti nel caso spagnolo. Non mi sembra un argomento solido. Forse ci sono altri documenti da considerare.

Perché allora la posizione del premier spagnolo è stata tutto sommato tollerata?

Perché Sánchez è visto dagli altri come il dead man walking. Trump ha fatto la voce grossa, ma minacciando dazi applicabili solo alla Spagna ha detto semplicemente una sciocchezza.

Resta il fatto, tornando alla NATO e all’UE, che c’è un enorme problema di classi politiche.

Sono d’accordo. È una considerazione che si potrebbe tradurre così: come mai oggi è inconcepibile che un leader europeo faccia come Willy Brandt o Giulio Andreotti? Ovvero perché i leader europei hanno rinunciato a trovare il modo di recuperare una vera autonomia politica rispetto agli USA?

Eppure i documenti parlano di “sovranità strategica”.

Noi europei abbiamo smesso di essere alleati degli americani dopo il 1989, e da allora ci siamo comportati come vassalli. I sussulti di autostima, come quelli di Chirac nel 2003, sono occasionali e non durano. Il massimo delle aspettative è trovare il modo di arrangiarsi e ridurre i danni. Intanto si riempie il vuoto con narrative consolatorie. Una di queste è proprio la “sovranità strategica”, coniata da Macron nel 2017 in un discorso che non ha lasciato nessun segno concreto.

I giuristi dicono che non può esserci un aumento delle spese militari deciso dai governi – almeno in Italia – senza un sì del parlamento. È una partita aperta o chiusa?

Una cosa è chiara: le opinioni pubbliche, almeno per il momento, non sono affatto entusiaste della prospettiva di tagli generalizzati alla spesa sociale per pagare il riarmo. Detto questo, la pressione materiale sarà molto forte e tutti saranno chiamati ad adeguarsi. È a questo che serve la narrazione del pericolo imminente da contrastare con il riarmo. Una storiella vecchia come il mondo.

Nel documento finale c’è la prevedibile insistenza sulla minaccia russa, ma non si fa menzione alcuna di un futuro ingresso dell’Ucraina nella NATO, e non c’è alcun esborso comune. Gli aiuti sembrano lasciati a quello che viene definito “impegno sovrano” dei singoli Stati. Quindi?

Senza un nemico esterno, il discorso del riarmo non funziona. Questa è la ragione per la quale non poteva mancare la presenza dell’orso russo, malgrado il cambio di atteggiamento – almeno per ora – dell’amministrazione Trump verso Putin. Per questo fa anche comodo che Zelensky annunci altri atti di aggressione russa che, guarda caso, sarebbero pianificati per il 2030! Allo stesso tempo, però, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla NATO è più irrealistica che mai. Che si cominci ad interiorizzare questo non è un male.

“Zelensky sta combattendo una battaglia coraggiosa, penso sia un ottimo momento per finirla” ha detto Trump. Ma se la pace si avvicina, dove va a finire il nemico dell’UE?

La diagnosi di Emmanuel Todd mi sembra si stia dimostrando azzeccata: la Russia non ha vinto, ma l’Occidente è stato sconfitto. Questa sconfitta a sua volta sta scatenando un processo di disgregazione.

Ne è sicuro?

Pensiamo al primo paragrafo della dichiarazione finale. C’è una frase meravigliosa: “Ribadiamo il nostro fermo impegno a favore della difesa collettiva sancito dall’articolo 5 del Trattato di Washington”. Se bisogna enfatizzare il “fermo impegno” – ironclad commitment in inglese, ancora più evocativo – è perché, appunto, si teme che questo impegno non ci sia più.

E i tagli generalizzati ai bilanci pubblici che ci aspettano?

Resta da vedere come si risolve la tensione tra spesa militare ed omogeneità sociale. Rischiamo l’involuzione finale verso il “liberalismo autoritario”, già messo in pratica, per esempio, da Macron con l’abuso plateale del meccanismo dell’articolo 49.3 della Costituzione francese.

Sta dicendo che si fa come vuole chi comanda?

Sì. In origine il 49.3 della Costituzione francese presupponeva una forte legittimità democratica del presidente. De Gaulle ce l’aveva. Macron, invece, no. Neppure nel 2017, figuriamoci oggi. Un argomento simile vale per la riforma della Costituzione tedesca di quest’anno, attuata da un parlamento già morto e sepolto.

Che cos’è il liberalismo autoritario?

Il concetto è stato coniato da Hermann Heller, famoso giurista tedesco, nel 1932, nei giorni finali della Repubblica di Weimar in decomposizione. Fa riferimento a un liberalismo svuotato di ogni contenuto normativo, ridotto alla mera protezione degli interessi economici delle oligarchie. Infatti pochi mesi dopo Heller dovette esiliarsi a Madrid. Che lo Stato democratico e sociale di diritto sia la miglior garanzia di stabilità lo avevano imparato gli europei con due guerre in due generazioni. Si pensi alla Costituente italiana, con il “patto” fra democristiani, socialisti e comunisti.

Come si arriva al liberalismo autoritario?

Dopo la crisi monetaria ed economica dei primi anni 70, l’Europa non riesce a stabilizzare un ordine politico ed economico. Fino al 2010 il diritto e la politica dell’UE esprimevano ancora, almeno in parte, la visione dello Stato democratico e sociale. L’austerity ha spezzato qualsiasi equilibrio, innescando una fortissima tendenza alla centralizzazione dei poteri, senza i dovuti controlli democratici. Questi sono resi ogni giorno più improbabili per il progressivo logoramento della capacità degli Stati e delle regioni e la conseguente difficoltà a controbilanciare le istituzioni sovranazionali e globali. In questo modo non si va verso il federalismo democratico, ma verso una centralizzazione autoritaria.

Quali saranno le conseguenze di questo processo? 

Il riarmo europeo non si tradurrà in un esercito europeo, però la spesa necessaria per usare la difesa come leva di trasformazione economica renderà necessario dare ancora più poteri al centro. Questo centro non sarà a trazione democratica.

E i propositi “costituenti” europei?

In queste condizioni, pensare che il riarmo possa aiutare un processo costituente europeo è fare il gioco di un’operazione, radicalmente inversa, di “destituzione” democratica. Dopo il polverone sul Manifesto di Ventotene, sarebbe forse utile cominciare a leggere davvero i federalisti. A partire dal testo, poco noto, di Spinelli sulla incompatibilità tra atlantismo NATO e federalismo europeo del 1962…

(Federico Ferraù)

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